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Teatro

“Quando si spengono le luci, storie del Terzo Reich” i detenuti della casa circondariale di Pescara in scena alla d'Annunzio

All'università di Chieti l'11 aprile l’atto unico messo in scena da volontari di Voci di dentro e detenuti. All'evento sarà presente anche l’ambasciatore di Israele

Arriva anche all'università d'Annunzio “Quando si spengono le luci, storie del Terzo Reich”, rappresentazione teatrale tratta da un libro di racconti di Erika Mann, liberamente adattato da Carla Viola e con la regia di Alberto Anello.

Lo spettacolo andrà in scena mercoledì 11 aprile alle 10 nell'Aula Magna di Medicina (ex Rettorato) ed è organizzato dalla casa circondariale di Pescara e dall’associazione Voci di dentro, Onlus che da anni opera all’interno delle carceri. Alla presentazione interverranno, tra gli altri, l’ambasciatore di Israele Ofer Sachs, i rettori delle Università di Chieti e di Teramo.

Sul palcoscenico, in un atto unico di circa un’ora e quindici minuti, un cast d’eccezione composto da undici detenuti della casa circondariale di Pescara e sette volontari di Voci di dentro . Lo spettacolo è il frutto di un anno di lavoro dell’associazione sul tema della violenza e della soppressione della libertà. Ma soprattutto è un momento di  studio e di riflessione, di incontro tra persone, di dialogo e di confronto alla scoperta dell’altro, del rispetto, della fiducia e della collaborazione, contro resistenze, pregiudizi e insicurezze che possono creare fratture e muri. Dopo la performance alla d'Annunzio di mercoledì,  “Quando si spengono le luci, storie del Terzo Reich” andrà in scena al teatro Circus di Pescara lunedì 16 aprile con una doppia replica: alle 11 e alle 17 (ingresso libero).

La storia. Tutto si svolge in una stazione di un piccolo paese della Baviera poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale: un uomo con una valigia scende dal treno e inizia a camminare nella confusione, in un via vai di gente che si muove come se fosse in cerca di un riparo o in fuga da quella città dove nessuno riesce a capire che cosa sta succedendo, che cosa è già successo e soprattutto quello che da lì a poco succederà. Sulle note di alcuni passi di J'y suis jamais allé di Yann Tiersen, sul palcoscenico si alternano un forestiero, un commerciante, la moglie militante nel partito, una coppia di fidanzati, un industriale, un giornalista, una cantante. I personaggi sono vittime, ma non mettono mai in discussione il regime direttamente, per manifesta incapacità di tener testa al delirio collettivo. Vittime che scopriamo di scena in scena, come scene sono anche i racconti di Erika Mann, racconti che sono quasi una cronaca giornalistica, storie vere che svelano la menzogna propagandistica, generalizzata e martellante del regime. Storie sul baratro di quella follia che riecheggia in tutti i momenti dello spettacolo e che si concludono in una immane tragedia. Tragedia che forse si sarebbe potuto evitare. Tragedia che oggi viene lasciata alle spalle come cosa passata ma nello stesso tempo, al contrario dei tanti buoni propositi, riproposta da movimenti che agitano svastiche, che si dichiarano razzisti e xenofobi, che rifiutano ed escludono sempre più apertamente opinioni e culture diverse. In una continua escalation all’interno di un ciclo cominciato da tempo dove l’esclusione di chi è povero, di chi viene dal sud del mondo è ormai norma. Norma “perché siamo a rischio invasione” e che ora viene disciplinata, organizzata e regolata secondo criteri che ci portano al passato: i diritti da universali e indipendenti, astratti, tornano ad essere delle regalie feudali, delle concessioni che chi ha concede a chi non ha. E soltanto se è “utile”, come una cosa, come mezzo.
 

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