Ottant’anni fa il grido delle madri coraggio della Civitella, che salvarono molti uomini dalla deportazione tedesca
Riceviamo e pubblichiamo un contributo del professor Roberto Leombroni, docente di storia e filosofia eprofondo conoscitore delle vicende storiche legate alla città di Chieti, sugli eventi dell'ottobre di ottant'anni fa che hanno visto protagoniste le 'madri coraggio' del quartiere della Civitella e che il poeta Raffaele Fraticelli ha narrato nella sua lirica "Le femmene di Chiete".
27 Ottobre 1943: sono passati precisamente ottant’anni. Impazza la seconda guerra mondiale. Chieti è nel cuore della “Linea Gustav”, che taglia un pezzo dell’Italia centrale, da Cassino alla foce del Sangro. Qui i tedeschi organizzano la loro resistenza contro le truppe anglo-americane che, dopo lo sbarco in Sicilia (luglio 1943), risalgono la Penisola.
A mano a mano che le truppe della Wehrmacht si ritirano, adottano la tecnica della terra bruciata, costringendo le popolazioni a evacuare i centri abitati che vengono sistematicamente distrutti. Intorno al 20 ottobre inizia il triste esodo di uomini, donne, vecchi, bambini, con le loro masserizie e i loro animali verso Chieti.
Mentre in città cominciano a organizzarsi i primi nuclei di partigiani, con la formazione della Banda Palombaro, gli invasori tedeschi si abbandonano a continue razzie. La tragedia incombe soprattutto sugli uomini in età da lavoro, sui giovani, sui soldati sbandati, tutti esposti ai rastrellamenti finalizzati alla requisizione di forza-lavoro da inviare in Germania. Inutile dire che chi si ribella alle imposizioni del comando tedesco viene fucilato. Gran parte di quegli uomini cerca di evitare la deportazione nascondendosi, affidandosi spesso alla solidarietà di altri cittadini civili e religiosi. Monsignor Antonio Jannucci, parroco di Sant’Agostino, salva parecchi giovani dalla deportazione firmando una falsa dichiarazione in cui afferma che si tratta di cantori della cattedrale.
In tale contesto si inserisce un significativo episodio della Resistenza civile nella nostra città, che, pur nella sua disarmata spontaneità, si affianca a pieno titolo alla lotta dei partigiani della Banda Palombaro e, poi, della Brigata Maiella. Emulando il coraggioso comportamento delle donne napoletane che, nel corso delle Quattro Giornate (27-30 settembre 1943), si scagliarono disarmate contro la truppa tedesca per liberare i propri uomini, presi e fatti salire sui camion per avviarli al lavoro forzato al servizio del Reich, con identico coraggio, le donne della Civitella, durante una retata operata nel quartiere il 27 ottobre del 1943, si prodigano al grido di Vann’acchiappènne! per facilitare la fuga dei loro figli, mariti, fratelli.
Il poeta teatino Raffaele Fraticelli dedicherà a quell’evento, nel corso del quale venne catturato anche il padre, mastro Nicola, uno struggente testo poetico intitolato Le femmene di Chiete. Nel purissimo dialetto della sua città, “don Raffaele” rievoca il clima drammatico che sconvolge la vita del più antico quartiere di Chieti durante la suddetta retata, operata da suldate giargianise (che parlano una lingua incomprensibile), con i loro suoni gutturali e violenti (Arbajete, Kaputte), parole che puzze de guerre, in una realtà già sconvolta da ... lu coprifoche, da lu fredde e da la fama nere. Non si fanno distinzioni tra bbardasciune e patre di fameje: tutti avviati verse la Ternetà (la piazza della Trinità) per essere caricati sopr’a li càmie.
Ma in quel drammatico frangente, in cui parle cannune, fucile e pistole, e dove chi s’arefrònghe, more fucelate, scatta la coraggiosa reazione delle fémmene del quartiere. Quelle donne hanno nomi che, a risentirli oggi, sanno di antico: Laurette, Nandonie, Cecchelle, Cajtanelle, Durucce, Nerine, Chiarine, Filippucce, Rechettelle, Diamante, Flaviette e Milanine (quest’ultima era la mamma di don Raffaele).
Le immaginiamo con i loro grembiuli scuri, magari con lu fazzole sulla testa, sempre impegnate nei loro lavori casalinghi. ‘Ste mamme sante de la Ciuvitille, sfidando le bombe, ‘bbasse a li ruve si jèttene a strille. Al grido di Vanne acchiappenne!, spingono i propri uomini a nascondersi, salvandone parecchi dalla deportazione.
Il testo poetico termina con un ammonimento ai contemporanei (Sti fatte, ogge, ci sta chi le capisce? Se sa che parlature tè la Morte?) accompagnato a un invito a non dimenticare che, anche grazie a episodi come quello, si sono gettate le basi di una società libera e
democratica:
N-z’ha da sprecà ‘ste mujiche de pane.
Hocce de sangue vive e de sudore.
È la sumende che serve dumane,
Lu lèvete pe’ ffà lu pane nóve!...
Nù, mo, l’areccuntème, ‘n grazi-a-Ddije!
Giuvenuttille e c’ème capetate;
Tenète a mmente! – dicème a li fije
“Le fèmmene di Chiete c’ha salvate!...”.
Un appello appassionato lanciato a chi troppo facilmente tende a dimenticare. Un appello tanto più attuale, a 80 anni da quel lontano 27 ottobre 1943, in tempi bui in cui si ricominciano a vedere all’orizzonte sinistri bagliori di guerra.