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Lunedì, 29 Aprile 2024
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La storia di George, a Chieti dopo un lungo viaggio: "Dovevo restare pochi giorni, sono passati quindici anni"

George Araya è arrivato in città dall'Eritrea nel 2008 al termine di un lungo viaggio. Lo scorso ottobre ha acquisito la cittadinanza italiana

“Ho deciso di raccontare la mia storia perché spero possa servire a infondere fiducia nei tanti ragazzi che hanno paura di non riuscire a superare gli ostacoli della vita”.

Sembra non aver vissuto una sola vita finora George Araya, 35enne eritreo, dal 2008 residente a Chieti e dallo scorso ottobre cittadino italiano. Molto conosciuto nell’ambiente sportivo in particolare nel mondo del calcio a 5 provinciale (attualmente milita nel Città di Chieti in serie D) e in quello del basket, visto che è sempre presente al Palatricalle per sostenere i teatini biancorossi.

Tanti lo conoscono, lo apprezzano e lo considerano uno di loro ma solo alcuni (“Non volevo che qualcuno potesse sentirsi in dovere di aiutarmi”) hanno avuto accesso al suo “viaggio”: un itinerario che lo ha portato a sfidare le proprie paure, a mettere nelle mani del destino la sua vita per riuscire a costruirsi una possibilità, un futuro migliore. 

Un percorso soprattutto interiore di un ragazzo “diventato adulto in fretta” come disse sua madre quando lo sentì per la prima volta al telefono, dopo che George aveva lasciato casa.

La famiglia

“In Eritrea sono cresciuto a Keren in una famiglia molto unita. I miei genitori, mia nonna e i miei cinque fratelli. Io passavo molto del mio tempo a giocare a calcio e posso dire che la mia famiglia è stata bene, certo avevamo molto poco ma eravamo felici”. Un clima sereno che è durato fino all’invasione da parte dell’Etiopia alla fine degli anni '90 che ha reso la situazione drammatica. "Mio padre era militare e a casa a quel punto non c'era quasi mai". 

“Non avrei avuto futuro, niente, sarei stato nelle mani di un sistema ingiusto. Io volevo essere libero”.

“Gli anni passavano e sentivo sempre di più la spinta a lasciare il paese. Sono arrivato all’ultimo anno della high school (l’equivalente della scuola secondaria in Italia ndr). Il governo costringe gli studenti a frequentare l’ultimo anno a condizione che ci si arruoli nell’esercito. Io questo non potevo accettarlo. “Non avrei avuto futuro, niente, sarei stato nelle mani di un sistema ingiusto. Io volevo essere libero”. Buona parte degli eritrei scappa proprio dal servizio militare obbligatorio: sulla carta dovrebbe durare 18 mesi, ma secondo rapporti di Amnesty International moltissimi finiscono per svolgere la leva a tempo indeterminato senza possibilità di servizi alternativi per gli obiettori di coscienza per motivi religiosi, etici o di coscienza. Svolgere il servizio di leva rimane anche una condizione necessaria per ottenere il passaporto.

"Abbiamo camminato per quasi cinque giorni a piedi, senza l’acqua, senza mangiare. Avevo solo un frutto, dei datteri, con me".

“Non ho detto nulla ai miei familiari, neanche alla mia ragazza di allora. L’unico a saperlo era il mio amico Senay che ha deciso di unirsi a me per provare a fuggire in Sudan. Da un anno studiavo il tragitto. I giorni prima di partire verso un viaggio che poteva significare morire ho passato tanto tempo con la mia famiglia. Loro si sono accorti che c’era qualcosa di strano”. Abbiamo camminato per quasi 5 giorni a piedi, senza l’acqua, senza mangiare. Avevo solo un frutto, dei datteri, con me”.

Nel viaggio verso il Sudan accade qualcosa che segnerà in maniera indelebile la sua vita. “Si camminava nella foresta. Nella notte stavamo riposando ai piedi di un albero. Purtroppo sono passati dei militari che ci hanno visti e a quel punto abbiamo iniziato a correre. Loro sparavano ma siamo riusciti a seminarli”. Durante la fuga al buio George si schianta contro una recinzione composta da fili di ferro. Riporta delle ferite al volto e sul corpo. I segni li porta addosso ancora oggi. “Era la notte del mio diciottesimo compleanno. Ho continuato a correre nonostante il sangue e il dolore, dovevo salvare la mia vita. Il giorno dopo siamo arrivati in Sudan”.

In Sudan nella città di Kassala, George resta per oltre un anno e mezzo. Dopo varie vicissitudini inizia a lavorare in un albergo, conosce anche la sua attuale compagna. “Per i miei datori di lavoro ormai ero uno di famiglia ma non avevo opportunità di crescita ulteriore”. A quel punto decide di affrontare il viaggio in mare partendo dalla Libia, destinazione Italia.

Si reca in Ciad su un camion (“siamo dovuti partire due volte, la prima ci hanno buttati a metà strada e sono fuggiti con i nostri risparmi”) e da lì è salito sul retro di un furgone scoperto insieme ad altre decine di persone per il viaggio nel deserto. “Un’esperienza di dolore che mi porterò per sempre. Senza bere né mangiare, gli autisti erano drogati e le persone debilitate cadevano dal mezzo. Tanti sono morti, tra questi c'era anche una persona che conoscevo bene. Non venivamo considerati esseri umani”. Due persone una volta arrivato in Libia lo aiutano a fuggire e si imbarca su un barca di legno verso Lampedusa. Poco prima di partire però un altro colpo durissimo da incassare. Suo fratello maggiore in Eritrea è morto a causa di una malattia. La notizia lo sconvolge ma non ha neanche il tempo di piangere. 

“Il viaggio doveva durare un giorno e invece è durato molto di più. Siamo arrivati stremati”.

Arrivato a Lampedusa dopo un viaggio interminabile e aver rischiato la vita in mare viene trasferito nel centro d’accoglienza di Isola di Capo Rizzuto poi prende un treno e arriva a Roma. Qui trova ospitalità da alcuni connazionali. A quel punto arriva una chiamata, è suor Brhanu Habtemariam che opera a Chieti all’Istituto San Camillo de Lellis, punto di riferimento per molti immigrati.

“Dovevo restare qualche giorno nel centro Caritas di via De Lollis. Sono a Chieti da quindici anni”.

George si impegna e inizia da subito a lavorare, inizialmente in una ditta di pulizie al Theate Center. A Chieti conosce l'imprenditore Guido Di Cosmo che lo aiuta soprattutto per l’alloggio.

Intanto inizia a fare sport con la squadra di calcio a 5 della Caritas, impara l’italiano e costruisce amicizie. “Nella casa in cui vivo anche ora, di proprietà della famiglia Di Cosmo, venivano ospitati anche gli atleti della Pallacanestro Chieti. “Con tanti di loro si è creato un rapporto di grande affetto”. Ed è proprio dall’incontro con uno di loro che George ha capito l’impatto che ha il suo racconto nella vita delle persone.

Squadra Caritas

“Ricordo che uno dei nuovi arrivati, ai tempi era alla prima esperienza lontano da casa, una sera si è sfogato con me: si sentiva solo senza i genitori e in generale mi ha elencato tante cose che nella sua vita a suo avviso non funzionava. A quel punto per rincuorarlo ho raccontato a lui le mie vicende, volevo spiegare a lui che doveva sentirsi fortunato. Mi ha ringraziato. Qualche giorno dopo ho ricevuto una chiamata dai suoi genitori: mi hanno spiegato che avevano visto il loro figlio cambiato, più adulto, dopo aver condiviso la mia storia con lui”.

Erano in tanti lo scorso 5 ottobre al Comune di Chieti a festeggiarlo quando ha acquisito la cittadinanza italiana. Negli anni George ha aiutato i suoi familiari a uscire dal proprio paese per costruirsi un futuro migliore: un fratello vive in Norvegia, uno in Germania, una sorella in Canada e una in Sudan.

Cittadinanza italiana

Non vede i suoi genitori e sua nonna da tanti anni. L'Eritrea è di fatto un regime dittatoriale, senza libertà politiche e di associazione, senza potere giudiziario e fonti d'informazione indipendenti. George non può tornare ("anche se la mia terra mi manca molto").

Ora per George potrebbe aprirsi un nuovo capitolo. La sua fidanzata, Saba dopo aver vissuto in Norvegia ora si è trasferita in Canada. “Stiamo valutando insieme cosa fare. Dovrei trasferirmi anche se vorrebbe dire lasciare Chieti, la città che mi ha accolto e dove ormai mi sento a casa. Non è una decisione facile".

Una decisione che prenderà in estate, intanto il suo obiettivo a breve termine è "imparare a nuotare, dal viaggio sul barcone dalla Libia all'Italia non ho superato lo shock dell'acqua alta. Devo superare questa paura".

Da questa storia George chiede "a chi la leggerà di sviluppare un senso di accoglienza verso il prossimo, non giudicare le persone che si conoscono poco. Bisogna apprezzare ed essere consapevoli di quello che si ha e dei propri vantaggi. Siamo tutti fratelli".

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