Scavi in piazza San Giustino: "C'è un mosaico romano sepolto e tanto altro da riportare alla luce"
Nel 1880 in piazza San Giustino, fra l’attuale gradinata principale della cattedrale e la scalinata di accesso alla cripta, fu realizzata una cisterna di raccolta dell’acqua piovana. A quell’epoca la città non disponeva ancora del proprio acquedotto, che venne infatti realizzato solo undici anni più tardi, nel 1891. L’incarico di studiare e relazionare sui lavori di scavo della Piazza fu affidato, dall’amministrazione Comunale dell’epoca, ad un grande professionista: l’ingegnere, architetto Prof. Giovanni Mazzella. Era il 13 febbraio 1880 quando il Prof. Mazzella indirizzò al sindaco di Chieti la propria relazione manoscritta. “Adempio all'incarico di cui la Signoria Vostra mi onorava, cioè di rilevare il disegno e descrivere i ruderi rinvenuti nello sterramento che sta eseguendosi in Piazza Vittorio Emanuele, con la seguente brevissima memoria. Tutte le scienze si danno la mano tra loro, perché tutte provengono dalla stessa fonte, ma non mai, come nel presente caso, l'Archeologia deve connettersi alla geologia per poter giudicare a quale opera di edificio i ruderi suddetti si appartengono e a quale causa addebitarsi la sua distruzione. La collina su cui sorse la città di Chieti, ed in antico si elevava Teate, ha la sua parte culminante in P.zza Vittorio Emanuele, e qui propriamente nel luogo dalla storia distinto col nome di Collina Gallo si è presentato il seguente fatto geologico”.
Dunque cosa disse Mazzella? Nell’eseguire gli scavi necessari alla realizzazione della futura cisterna agli occhi di Mazzella si presentarono “tre muri che costituiscono parte del recinto di due camere, i cui lati sono con la massima precisione orientate in corrispondenza dei punti cardinali”. Non dovendosi procedere su un’area più estesa, fu dunque scavato un tunnel per andare a curiosare poco più in là. “Per mezzo del tunnel si vede un avanzo di fondazione di altro muro, che potrebbe essere il quarto lato di tale camera”. Non si procedette oltre con gli scavi perché, come detto, i lavori dell’epoca non se ne dovevano interessare e, pertanto, quegli ambienti sono ancora lì sotto, sepolti, in attesa di essere riportati alla luce per la prima volta.
IL MOSAICO “La camera B è pavimentata con un mosaico composto da piccoli cubi di marmo bianco e nero, perfettamente levigati nella faccia superiore e tutti uguali fra loro avendo non più che otto millimetri di lato. Il disegno del mosaico è fedelmente delineato nella tavola 2° fig. sgraziatamente nel centro incomincia la distruzione per cui non è dato dire quale fosse la specie di ornato che doveva esservi, cosa che risulta dalla variazione del disegno”. Molto probabilmente i resti di quel mosaico non sono più lì dove fu trovato da Mazzella, e probabilmente di questo qualcuno è già a conoscenza. Si aggiunga che ad oggi i lavori proseguono con la giusta lentezza e cautela ma pare vengano eseguiti a macchia di leopardo (mentre sarebbe tecnica corretta ed ormai consolidata quella di smantellare l’intera area interessata). Tuttavia rimane una considerazione importantissima. Fina al 1880 gli scavi furono parziali e molto limitati, non si estesero al di là dell’area interessata dai futuri lavori di realizzazione della cisterna e, quindi, moltissimo resta ancora da scoprire. Gli stessi ambienti esaminati da Mazzella lasciavano intravedere una loro maggiore estensione; vi era un vano di accesso, i muri proseguivano nella terra ed un tunnel venne scavato per ispezionare un po' più in là senza bisogno di espandere l’area degli scavi. C’era (e c’è) dell’altro, che merita senza dubbio di essere riportato alla luce e di essere studiato con molta più attenzione di quanta ne sia stata sinora usata. La fruibilità della piazza può ben attendere anche qualche anno perché ne varrebbe davvero la pena. In fondo nell’ultimo mezzo secolo non è stata forse Piazza San Giustino bistrattata e ridotta a misero parcheggio?