La storia di Chieti entra in classe con gli esperti del Cenacolo teatino, secondo appuntamento "fuori porta" per gli studenti del G.B. Vico
“Chieti è da studiare, scoprire, amare”. Questo il messaggio lanciato dallo scrittore Raffaele Bigi alla platea di studenti del liceo classico Gian Battista Vico nell’ambito degli incontri concordati tra il plesso scolastico di Corso Marrucino ed il “Cenacolo Teatino”. Secondo appuntamento, ieri, al Museo Universitario di Scienze Biomediche dopo l’overture dello scorso 28 febbraio quando si parlò della “Chieti dall’Unità d’Italia ai nostri giorni”. E questa nuova tornata ha proposto alle ragazze ed ai ragazzi coordinati dal professor Giovanni Scarsi, docente di Storia, le vicende antecedenti all’Unificazione, in un arco temporale molto vasto [da fine 400 al 1861, con ‘punte’ antecedenti quando si è parlato dei Templari]. Uno sforzo, quello dei relatori [insieme a Bigi, lo storico ed economista Marino Valentini], non agevole, considerata la complessità e l’ampiezza dei temi trattati. Ma realizzato attraverso collegamenti alla contemporaneità di taluni risvolti sociali, oltre che segnatamente storici, narrati con scorrevolezza e cesellati in modo da rendere attuali curiosità ed anche misteri sui quali la ricerca delle fonti non ancora perviene a responsi definitivi.
“E’ il caso, ad esempio”, spiega Marino Valentini, “dell’accezione negativa che spesso distingue il termine ‘chietino’, un aspetto questo che investe non solo la etimologia ma direi una condizione d’essere trasformatasi nel tempo ed oggi approdata alla più completa, in termini di contenuti ed interazioni, rispondenza col termine ‘teatino’ “. Qui la Storia diventa ricerca certosina degli etimi, delle correnti di pensiero, dei rapporti di potere. Anche di quelli prodotti dagli ordini monastici. Come l’Ordine dei Chierici Teatini dediti alla cura dei malati e dei feriti ed alla contemplazione ascetica. Non è infrequente, infatti, che il termine ‘chietino’ venga usato in funzione svalutativa del nostro senso identitario, abbinandosi in esso il combinato disposto dell’essere ‘bigotto’ e “conservatore del tipo bacchettone”. Il richiamo a contese campanilistico-calcistico-sportive affermatesi dagli anni 50 è solo la parte folcloristica di un fenomeno dalle origini lontane. L’amicizia fra i Valignani, nello specifico il camerlengo Giovanni Battista, e Gian Pietro Carafa, vescovo [1505] e poi arcivescovo di Chieti [1537], assurto al soglio pontificio il 23 MAG 1555 col nome di Paolo IV, esprime la sinergia che nel Rinascimento corre fra la città, ed i suoi più alti rappresentanti. Bigi e Valentini ripercorrono le sorti della influente famiglia Valignani, dei suoi rami, dei suoi uomini più eminenti, tra i quali il vescovo Colantonio, noto per la costruzione della torre arcivescovile con merlatura ghibellina [quindi antipapale]. Ma cosa c’entrano i Valignani con “chietino” usato quale aggettivo delegittimante? C’entrano, perché i Valignani non immaginavano che Gian Pietro Carafa, fondatore nel 1524 -assieme a Gaetano Da Thiene- dell’Ordine dei Chierici regolari detti Teatini, sarebbe entrato nel ‘mirino’ di quotate, ancorché spietate, critiche da parte di scrittori e filosofi del calibro di Pietro l’Aretino e Giordano Bruno. I quali si mantennero comunque equidistanti nell’accomunare in giudizi severi tanto la “pedanteria dei poltroneschi seguaci riformisti di Martin Lutero” sia la “chietineria di quanti fingono di essere sempre assorti, come rapiti nella contemplazione …”, quest’ultima ortodosso risultato del modus operandi dei predetti Chierici Teatini che sposarono in toto i dettami controriformisti del Concilio di Trento [1545-1563]. In tal senso Ciro Robotti in “Chieti città d’arte e di cultura” [ed. del Grifo, Lecce, 1997]. E’ il classico esempio di una città che paga scontri epocali fra correnti di pensiero, in questo caso di estrazione religiosa, per ritrovarsi nel punto di contatto di faglie antitetiche. Chissà se Chieti, ora che anche Papa Francesco ha cercato di ridurre le distanze con la dottrina luterana nello storico vertice di Lund [Svezia, 31 OTT 2016], possa sdoganarsi da quel termine non proprio positivo di “chietineria” per rifluire nell’accezione più armonica ed onnicomprensiva dei suoi valori storici ed etici: la “teatinità”. E Raffaele Bigi a coronamento di un articolato progetto di reperimento organico delle fonti, si inserisce nel solco di quella “teatinità” della quale un esempio di elevata portata è offerto da Padre Alessandro Valignani [Chieti 1539-Macao, Cina, 1606] che nel 1600 evangelizzò il Giappone e predispose un piano di insediamenti missionari pure in Cina. Bigi, nel 480mo anniversario dalla nascita del religioso gesuita figlio del camerlengo Giovan Battista, difese e tuttora difende quella storica spedizione dalla frettolosa primogenitura riconosciuta, da ambienti culturali, politici ed istituzionali in quel di Macerata, a tal Matteo Ricci che di Padre Alessandro Valignani era allievo e seguace. Le pagine che proprio Bigi riserva a questo nostro illustre concittadino nel suo “I Valignani a Chieti” [edizioni Complexity, 2019] sono di profondo interesse storico e di rara apertura mentale laddove l’A. riporta il grande concetto di innovazione introdotto dal gesuita nei processi di evangelizzazione dei popoli indigeni: “i Giapponesi non devono adattarsi ai nostri costumi ma siamo noi che dobbiamo adattarci ai loro”. Alessandro Valignani precorse, dunque, con la sua “via del Vangelo”, l’attuale versione della “via della seta”.
E fu anticipato, appena qualche anno prima, in pieno Rinascimento, dalla ‘via della lana’ che in Abruzzo partiva da Taranta Peligna e vedeva Chieti come ponte commerciale verso la Toscana. A proposito di Padre Alessandro Valignani [o Valignano come indicato in alcuni testi]: l’arcivescovo di Chieti Bruno Forte è stato l’unico italiano, e -a motivo del suo mandato episcopale- anche “teatino”, che da tempo immemore è riuscito a visitarne la tomba in quel di Macao. Ricco il “tabellone” degli eventi, delle vicende, dei volti e dei luoghi che hanno fatto la storia di Chieti, illustrato dalla premiata ditta “Bigi-Valentini” agli alunni del Classico. Rimasti attenti nonostante le tre ore abbondanti di questa inconsueta lezione “fuoriporta”. Elevato l’interesse mostrato per l’Ordine dei Templari, istituito a cavallo del 1100 e soppresso nel 1312 da Filippo IV di Francia che ne requisì i cospicui beni. “Ma a Chieti ci furono i Templari?”, chiede un ragazzo della IV classe. Invito a nozze per i relatori che pur non sbilanciandosi [“siamo alla continua ricerca di fonti certe”] accreditano l’ipotesi di una qualificata presenza templare in Città, pare facente capo alla non più esistente Chiesa di San Giovanni Battista nella zona ricompresa fra Corso Marrucino e Via Pollione oggi occupata da un istituto di Credito [da non confondere con la Chiesa di San Giovanni dei Cappuccini, annessa all’omonimo Istituto di assistenza ad anziani e disabili di Piazza Garibaldi]. Poi Bigi cala il poker: “Del resto se Chieti, insieme a Cipro, Brindisi e Parigi, fu una delle sedi dell’intera Europa in cui si celebrarono i processi ai Templari una ragione ci sarà pur stata …”. Nelle considerazioni dirette, indirette ed a margine di uno degli argomenti più dibattuti dagli storici entra anche la figura di Pietro da Morrone [1215-1296]. Il collegamento con Chieti del futuro Celestino V [pontificato dal 29 agosto al 13 dicembre 1294] è dato dall’impulso conferito dell’Eremita del Morrone alla edificazione della Chiesa di Santa Maria della Civitella, superata in ‘visibilità’ dalla più nota e politicamente più risonante Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila. Al riguardo, “Pietro Angeleri”, spiega Marino Valentini, “mandò un chiaro segnale di discontinuità alla Chiesa romana decidendo di farsi incoronare a l’Aquila”. “Il futuro Celestino V”, così continua Valentini, “non si piegò ai voleri della curia romana e optò dunque per una città, non solo diversa da Roma ma anche fuori dai confini dello stato papale, scegliendo per la sua investitura non una data a caso, ma una estremamente simbolica, quella del 29 agosto, ossia la decollazione di Giovanni Battista, protettore dei Templari, di quei cavalieri con i quali si era intrattenuto a Lione e dai quali aveva ricevuto qualcosa di prezioso che poi probabilmente recherà ai monaci di San Giovanni in Venere che lo finanzieranno per la costruzione della stupenda Basilica aquilana di Santa Maria di Collemaggio”. Per Valentini, “probabilmente Celestino, con quella clamorosa decisione, volle dare un segno ben preciso: l’esistenza di due chiese, quella interiore di Giovanni Battista e quella esteriore di Pietro”. Infatti, “rispetto alla Chiesa romana, che aveva bisogno di correggere gli errori in cui era caduta e così riscattare la propria spiritualità, la chiesa del Battista si ispira strettamente al battesimo come rito di purificazione dal peccato, rinascendo in Dio Salvatore, e le ulteriori prove di tale dualismo”, conclude Valentini, “sono da individuare nel fatto che Celestino, una volta salito al soglio pontificio, nominerà ben tredici cardinali, nessuno dei quali romano e rilascerà un documento solenne, la Bolla del Perdono, attraverso il quale ancora oggi è possibile rimettere i propri peccati nel giorno della decollazione del Battista e della sua vigilia, varcando la porta della basilica aquilana da lui edificata, e non di San Pietro”.
Da Celestino V alla Battaglia di Lepanto, tre secoli dopo, esattamente il 7 ottobre 1571, allorquando -ed è questa la “curiosità” sottolineata da Raffaele Bigi e Marino Valentini- la flotta veneziana, inferiore a quella turca ma supportata da equipaggi ‘alleati’, tra cui il contingente di 500 volontari di Chieti e provincia ingaggiati dalla famiglia Valignani ed al comando di Giuseppe Persiani e Pietro Gasbarri, contribuì in maniera determinante alla vittoria anche grazie all’innovativo armamento della galea teatina, per l’occasione attrezzata come una ‘galeazza’ [galea di maggior dimensioni, dotata di un numero maggiore di bocche da fuoco per sfruttare anche il tiro laterale]”. Il finale, curato da Raffaele Bigi, ruota attorno al patrimonio monumentale, achitettonico della Città di Chieti, con le sue Chiese, le sue tele e statue lignee, i suoi angoli più suggestivi. In sintesi, con le sue ‘emozioni’, quelle dell’anima di una Città speciale!