"Il brindisi del poeta astemio", il volume di Enrico Di Carlo e Luca Bonacini sulle abitudini enogastronomiche di Gabriele D'Annunzio
“Il brindisi del poeta astemio”. Cittadino onorario di Chieti, fra le menti letterarie più eccelse del ‘900, “sciupafemmine” ma non a tal punto dal rinunziare al suo salutare e salutista … calice d’acqua. Che non doveva mai mancare dalla sua dispensa, come ben sapeva il suo fidato segretario Tommaso Antongini. Gabriele D’Annunzio … si racconta, quasi a materializzarsi fra le 140 pagine di questo vero e proprio saggio del suo essere “acquatile”, nell’elegante percorso storico ed enogastronomico, più che un libro, concepito, tracciato e declamato da Enrico Di Carlo e Luca Bonacini [Verdone editore, Castelli -Teramo-, 2022, postfazione di Andrea Grignaffini].
La presentazione del volumetto mercoledì pomeriggio nell’affollata e verde cornice della “Casina dei Tigli”, alla villa comunale. Ambiente evocativo degli odori “floreali” del vino, fra cui, per l’appunto, quello del tiglio. Dissertazioni per appassionati. Anche per D’Annunzio, quindi, ma nelle vesti di collezionista data la sua ufficiale e, almeno in pubblico, illibata astemia. Dietro le quinte del D’Annunzio pubblico batteva però il cuore di un ‘diversamente-astemio’.
“D’Annunzio è stato un astemio a modo suo”, dice Enrico Di Carlo, teatino, giornalista, scrittore ed autore “dannunziano”, laureato in “Lingua e Letteratura delle Regioni d’Italia” presso l’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti e bibliotecario all'università degli studi di Teramo. “Rigorosamente astemio nelle relazioni e banchetti ufficiali”, spiega il co-autore, “si concedeva nelle occasioni private ed intime qualche buon calice di vini pregiati e di champagne”. Due volti, anzi due bicchieri, quelli del comandante che sotto i riflettori non sgarrava, ostentando la sua propensione alla “ottima acqua” poiché “il vino, quello sincero, è per gli ospiti”, come testimoniato dall’amico Giuseppe Mezzanotte e da Benigno Palmerio, pronti a giurare che il Vate “è fondamentalmente astemio, se ne bagna [col vino] le labbra solo in casi eccezionali”.
Confermò la regola, Gabriele D’Annunzio, la sera del 23 giugno 1904, nel banchetto in suo onore a margine della “prima” al Teatro Marrucino della Figlia di Iorio, circostanza quest’ultima nella quale gli venne concessa la cittadinanza onoraria [la delibera del consiglio comunale di Chieti sulla concessione della cittadinanza onoraria è del 17 giugno1904 e riguardò, oltre a Gabriele D’Annunzio, anche Francesco Paolo Michetti, che però non presenziò agli eventi connessi, ndc]. “I banchetti teatini in onore di D’Annunzio”, svela Di Carlo, “in realtà furono tre: il primo, offerto dalla famiglia Mezzanotte, il secondo dal Comune di Chieti ed il terzo dal Circolo degli Amici”. Ma, fedele all’iconoclastia del “Poeta astemio”, il celebre Gabriele pare abbia cortesemente declinato l’invito ai brindisi con “Montepulciano d’Abruzzo” e “Moscato”, pur declamandone proprietà e pregi organolettici. Meglio un calice della sempre affidabile ed “ottima acqua”, rigorosamente fresca ma non ghiacciata. Per la cronaca questo il menù, nel francese d’ordinanza, della cena ufficiale che precedette la kermesse al Marrucino: “Potage à l’italienne - Poisson, sauce mayonnaise - Noix de veau à la provencale - Flan aux truffes - Pintade rotie aux croutes - Glace panachée et biscuits - Tourte aux fraises”. Nella carta dei vini i predetti totem della produzione locale. Mentre, guardando oltre regione, Di Carlo e Bonacini, accreditano D’Annunzio di una particolare predilezione per il “Capri”, tra i vini selezionati nella cena di gala al “Gran Caffè Faraglia” di Roma, nel 1908, in occasione del debutto teatrale de “La Nave” (ma anche qui parrebbe che D’Annunzio non tradì la sua fama pubblica di astemio coerente) e, soprattutto, nettare ideale per accompagnare, in questo caso non in senso figurato, “le occasioni più intime”, così testualmente nel volume, “con Barbara Leoni”.
Gabriele D’Annunzio, un rapporto il suo di anti-eroe con il vino, bevanda corteggiata, studiata, osannata ed amata sui palcoscenici di un mondo che la sua poesia e la sua irruenza ed intuizione politica avrebbe indagato, frugato, esaltato, mitizzato. Salvo poi recuperare, di quella bevanda cara agli Dei, una dimensione personale, nascosta, di nicchia. Una dimensione “femminile” poiché estesa all’altro sesso. Che altro non era che il ‘lato B’ della sua Anima. “Col vino”, continua Enrico Di Carlo, “D’Annunzio aveva un rapporto nobile, elitario, lussuoso, la sua cantina, meglio dire collezione, inventariata con cura ed amore da Luisa Baccara, pianista veneziana [Venezia 14 gennaio 1892-29 gennaio 1985] vantava decine di pezzi pregiati e, si sa, quanto possa valere anche una singola bottiglia di champagne” [un esempio: nel 2015 una bottiglia di Krug del 1915, una delle ultime quattro rimaste di quell’annata, è stata battuta all’asta da Sotheby’s per 116.375 dollari, ad aggiudicarsela un anonimo collezionista, ndc]. Inevitabili le considerazioni sul D’Annunzio “politico”, una figura quella interpretata dal Poeta pescarese che ha intersecato il Fascismo, molti dicono per avvalersene quale piattaforma nazionalista di un progetto addirittura più ambizioso. E sostanzialmente diverso. Molto diverso. Il progetto di Fiume, libera ed italiana, emblema della così detta “Vittoria mutilata” [rif. Conflitto 1915-1918], nel contesto della “Reggenza Italiana del Carnaro”. D’Annunzio portò “arditi” e “legionari” in quell’estremo lembo dell’Istria e con Alceste de Ambris, socialista, licenziò la “Carta del Carnaro” che contemplava la nascita di una democrazia diretta ed innovativa, esaltando la parità dei diritti senza distinzione di sesso, razza, lingua, credo religioso. Una carta, diremmo oggi ‘costituzionale’, all’avanguardia in materia di lavoro, trattamento pensionistico, istruzione e libertà di stampa, addirittura prevedente il divorzio e lo scioglimento delle forze armate in tempo di pace. Una Carta che prevedeva il suffragio universale e la possibilità da parte dei cittadini di richiedere i danni per gli abusi di potere in lesione dei diritti soggettivi. Un esperimento, quello dannunziano, che nell’Italia e nell’Europa di fine 1919 non venne compreso.
“Nel libro”, non affronto direttamente queste tematiche, “precisa Di Carlo, anche se vi sono riferimenti sempre legati al vino ed alle abitudini a tavola di D’Annunzio nel suo soggiorno fiumano, tuttavia, sposando la tesi di autorevoli autori posso affermare che è stato molto più il Fascismo dannunziano che non D’Annunzio ad essere fascista”. Nella delusione di quel ‘sogno italiano’ infranto, il sogno di Fiume [12 set 1919-28 dic 1920], e qui riportiamo un documento epistolare, di sostanziale estrazione politica, di cui a “il Brindisi del Poeta astemio”, Gabriele D’Annunzio, il 21 giugno 1921, scriveva così da Gardone del Garda al suo amico Marcello Fantoni, proprietario dell’omonimo Caffè letterario romano, per ringraziarlo dell’invio di una bottiglia di “Acqua di Fiume”, liquore celebrativo della Impresa fiumana: “Caro Fantoni, l’Acqua di Fiume è leggera come quella che dal Carso scende ad alleviare l’ardore della Città Olocausta. Ma quella è oggi intossicata, ahimè! Io ho creduto di bere nella Sua la mia antica illusione”. “Gabriele D’Annunzio”, dice Luca Cipollone, presidente dell’Associazione organizzatrice dell’evento, “noi del G.B. Vico”, plesso scolastico nel quale studiò il Poeta astemio, “non dovrà più essere un problema per le analisi artistiche e storiche del 1900, è ormai dimostrato come egli sia invece un ponte che unisce ed esalta culture, tradizioni, sentimenti e grazie a questo libro ne scopriamo aspetti forse meno noti ma di sicuro autentici, intendiamo conferire una cadenza annuale ad eventi e dibattiti su D’Annunzio”.
Ed ancora: “la figura di Gabriele D’Annunzio è una risorsa”, afferma e sorride il sindaco Pietro Diego Ferrara, “per Pescara -lo dico subito per evitare incidenti diplomatici con il mio amico, ancorché avversario politico, ed omologo adriatico Luigi Albore Mascia-, per l’Abruzzo e, dunque, anche per Chieti del quale è autorevole cittadino onorario, ringrazio gli Autori di questa interessante ricognizione su uno dei personaggi più discussi ed illustri della storia italiana”.
Tra le curiosità del dibattito seguito alla presentazione di “il Brindisi del Poeta astemio”, i siparietti fra D’Annunzio, Carducci [grande estimatore di Lambrusco] ed il giornalista tedesco Hans Barth [autore della prima guida enogastronomica del Bel Paese]; l’omaggio di una confezione di Montepulciano al ministro del governo fascista Giacomo Acerbo [Loreto Aprutino 25 luglio 1888-Roma 9 gennaio 1969]; il ruolo sociale, culturale e di ‘teatinità’ del Caffè Barattucci, anch’esso letterario come il Fantoni ed il Faraglia di Roma, che aveva sede nello stupendo Palazzo Lepri, in Corso Marrucino, inopinatamente abbattuto nel 1964, meta di artisti, pensatori e poeti, tra cui Francesco Paolo Michetti, Edoardo Scarfoglio (con D’Annunzio e Michetti, tra gli animatori del “Cenacolo Dannunziano”) e Giuseppe Mezzanotte.
Tra il pubblico Fausto Napoli Barattucci, erede della tradizione artigianale della premiata ditta “Giulio Barattucci”, con l’ancora in produzione “Corfinio”, liquore antico e “segreto” di Chieti, definito da Gabriele D’Annunzio “l’odoroso liquore teatino” e per il quale Francesco Paolo Michetti disegnò la caratteristica bottiglia a forma di anfora. Intermezzi musicali del maestro fisarmonicista Fabio D’Orazio, ai quali è seguita la “cena dannunziana”, per questa bella pagina di cultura. Un libro, “il Brindisi del poeta astemio”, da ‘sorseggiare’ insieme ad Enrico Di Carlo. Abbiamo dimenticato di chiedere al valente co-autore teatino se egli, in materia di vino e liquori, sia allineato sulle posizioni del Poeta soldato, ovvero si conceda qualche strappo anche in pubblico. Per svelare l’arcano non rimane che invitarlo a convivio: per lasciarsi rapire dall’eloquio dello scrittore e dalla saggezza del vecchio brocardo latino ascritto ad Orazio: “in vino veritas”! O dalla pur sempre affidabile “ottima acqua” di dannunziana memoria. Chissà!