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Scoppia la polemica sul cambio di nome della d'Annunzio: no bipartisan, sì dal sindaco e dallo Scalo

I politici Febbo e Marzoli si schierano contro l'appellativo "dell'Adriatico" proposto dal rettore Caputi, mentre Di Primio si apre a una denominazione che potrebbe favorire l'apertura e l'aumento di iscritti dell'ateneo

Ma il primo cittadino non ha dubbi e difende la scelta del magnifico, rivendicando l’attenzione su quanto Sergio Caputi ha fatto nel primo anno di rettorato: 

Credo che se continuiamo a fare battaglie sul campanile e non sui contenuti, rischiano di consegnare ma città alle chiacchiere da portici. Questo rettore in un anno ha dato un rilancio notevole all’ateneo ed è lo stesso che nel giro di due ore ha trovato 1 milione e mezzo di euro per realizzare la casa dello studente nella ex Pierantoni, nel centro di Chieti. L’università rimane di Chieti-Pescara e non c’è alcun rischio di spoliazione con questa proposta. 

Se il cambio di denominazione serve all’ambizione di diventare l’università più grande dell’Adriatico ben venga, io sono pronto a lavorare se questo porterà benefici anche alla mia città. 

Per il sindaco, insomma, un nome che allarghi le potenzialità dell’ateneo a un contesto più internazionale, è un bene: una crescita di iscritti, sostiene, farebbe bene alla città di Chieti, riempiendo la casa dello studente sul Colle quando sarà realizzata, e dando un notevole impulso all’economia dello Scalo. 

E proprio dalla parte bassa della città arriva un altro parere favorevole al cambio di denominazione della d’Annunzio, da parte del comitato “Chieti Scalo Noi”, che tramite il coordinatore Lello Carapelle esprime il suo punto di vista: 

Il nostro capoluogo ha perso molti treni per stare al passo con i mutamenti veloci dell’oggi, grazie alla poca lungimiranza degli amministratori e alla chiusura della città’ alta verso qualsiasi forma di apertura, finanche verso la sua zona più dinamica, lo Sscalo”. La proposta del rettore è da accogliere positivamente, è un tentativo di aprire l’università - e quindi la città - verso l’esterno, verso una dimensione internazionale e non locale. 

Aprirsi significa non depauperarsi, ma arricchirsi di opportunità. Se la nostra città ha perso nel corso degli anni uffici, è perché forse è finito il tempo dell’Italia postunitaria, dove ogni Comune difendeva il proprio vessillo e cercava gratificazione ed importanza con uffici di “prestigio”.  

Oggi potremmo trovare nuova linfa riconvertendo la città alta a funzioni diverse, esaltando le sue peculiarità, e dando attenzioni e risorse, avute sempre marginalmente, alla parte bassa, che non è più il dormitorio operaio di 90 anni fa, ma la parte più dinamica e propulsiva di Chieti, nonché primo impatto di chi arriva in città con i mezzi pubblici. 

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