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Di Meco: "La mia vita in panchina con i detenuti della Libertas Stanazzo"

La storia: il 71enne allenatore da cinque anni guida la squadra di calcio a cinque composta dai ragazzi della Casa circondariale di Lanciano: "Esperienza straordinaria"

Vittorio Di Meco, una vita in panchina, da cinque anni è l'allenatore della Libertas Stanazzo, la formazione di calcio a cinque militante nel campionato provinciale di serie D, composta dai ragazzi detenuti nella casa circondariale di Lanciano. Il 71enne Di Meco, personaggio poliedrico anche fuori dallo sport (è scrittore di ben venti i libri da lui pubblicati e un ruolo di collaboratore nella casa editrice Nuova Gutemberg, attore di teatro e cantante), in grado di reagire e rialzarsi ogni volta che la vita ha provato a metterlo ko. Come nel 2005, quando ha perso un figlio appena 17enne, o poco tempo fa, quando a causa del Covid, è scomparsa anche l’altrettanto amata moglie. «Non è facile, ma la vita deve andare avanti. Nel ricordo di chi non c’è più ma anche a favore di chi, quotidianamente, riempie le mie giornate».

Evidente il riferimento ai ragazzi della Libertas Stanazzo, conosciuti per puro caso, non molto tempo fa. «Nel 2017 – svela lo stesso Vittorio Di Meco, parlando sul sito ufficiale della LND Abruzzo – a seguito di una delle tante iniziative benefiche portate avanti dagli “Amici di Marcello” (l’associazione di volontariato dedicata al figlio scomparso, ndr), organizzammo una raccolta fondi per l’acquisto di alcuni defibrillatori da donare ad altrettanti Comuni della zona, e uno di questi fu consegnato anche alla Casa Circondariale di Villa Stanazzo.

Una realtà che, al pari di tanta altra gente, conoscevo solo dall’esterno. Ebbene, in quella particolare occasione, essendo a conoscenza dei miei trascorsi da allenatore ed essendo già presente all’interno dell’istituto una squadra di calcio a cinque, mi fu chiesto se me la sentivo di allenare questi ragazzi, dato che il mister di allora, Pio Fiore Di Vincenzo, in procinto di andar via Senza pensarci su diedi subito mia disponibilità e fu così che, quando a distanza di qualche settimana venni ricontattato, prese il via questa nuova esperienza, che non esito a definire straordinaria. Soprattutto dal punto di vista umano».

Si spieghi meglio.. «Cominciamo col dire che l’opportunità di conoscere dall’interno certe dinamiche mi ha fatto capire quanto distorta fosse l’immagine che ne avevo prima. Una sorta di puzza sotto il naso, la mia, scomparsa nell’esatto momento in cui, varcato il cancello d’ingresso, sono venuto a contatto con un’umanità tanto variegata quanto disponibile. Fatta di gente che avrà certamente sbagliato nella vita ma che, oltre a pagare sulla propria pelle gli errori commessi, rivela una sensibilità di gran lunga superiore a chi sta fuori».

Facile immaginare come, in questi anni, siano nati anche dei rapporti di amicizia con questi calciatori così particolari: «Sicuramente, anche se non è una cosa facile. E non tanto per mancanza di volontà reciproca, quanto per difficoltà oggettive, legate ad una fisiologica rotazione dei ragazzi, tra chi va via avendo scontato la propria pena e chi, invece, viene più semplicemente destinato altrove».

Qualche eccezione ci sarà pure stata… «Ne cito una, di un ragazzo che mi sta particolarmente a cuore. Un ex detenuto che dopo aver trascorso sette anni in istituto, aveva deciso di stabilirsi, con la sua fidanzata, a Lanciano, avendo persino trovato occupazione in un’azienda locale. Il problema però era che, essendo sprovvisto di patente, aveva difficoltà negli spostamenti, visto che d’inverno muoversi con la bici non era certo l’ideale. Un problema che rischiava però di fargli perdere il lavoro e così, dato che eravamo rimasti in contato anche dopo la comune esperienza calcistica, mi sono offerto, per alcuni mesi e in attesa di una soluzione alternativa, di accompagnarlo e andare a riprenderlo nel tragitto tra l’azienda e la sua casa».

É vero che per molti di questi ragazzi lei rappresenta una sorta di secondo padre? «Mi piace pensare che sia così e per uno con la mia storia, creare un certo tipo di rapporti con loro è davvero gratificante. Tanto che da questa esperienza è nato anche un libro “La libertà in un pallone”, al momento circoscritto all’interno dello stesso istituto ma chissà che un giorno non possa essere dato alle stampe…».

La sua settimana tipo sulla panchina della Libertas Stanazzo? «Semplicissima: la squadra sostiene abitualmente due sedute di allenamento ogni martedì e giovedì pomeriggio, propedeutiche alle successive partite del sabato».

Che per ragioni facilmente intuibili si svolgono sempre e solo nel campetto in cemento presente all’interno della struttura penitenziaria. «Per forza di cose, e a tal proposito» – prosegue Di Meco – «ci tengo a ringraziare di cuore tutte le altre squadre, che pur di far praticare questa attività ai nostri ragazzi (la cui età va dai 18 ai 40 anni, ndr) si sottopongono all’inevitabile serie di adempimenti burocratici, ogni qual volta vengono a giocare qui da noi. Altri ringraziamenti doverosi vanno poi al dottor Campitelli, l’educatore addetto alle attività interne dell’epoca dal quale è nato il tutto, così come a coloro che nel corso dei vari anni si sono succeduti alla direzione della struttura dando continuità al progetto. E non vanno poi dimenticati gli agenti di custodia, alcuni dei quali danno una mano alla buona riuscita degli eventi, trattenendosi spesso e volentieri oltre il loro orario di lavoro, così come lo stesso comitato regionale della Figc Abruzzo, che tanto si è speso a favore della suddetta iniziativa».

Tornando a Di Meco, quali sono i vostri obiettivi per la stagione in corso? «Dopo un inizio un po’ in sordina, nel corso degli ultimi anni siamo riusciti a creare una squadra competitiva, capace di sfiorare in due occasioni la promozione in C2 e mai piazzatasi, comunque, al di sotto del terzo posto. Intendiamo quindi quanto meno ripeterci e le premesse per farlo ci sono tutte, dato che, rispetto al passato, pur avendo meno individualità di spicco, posso fare affidamento su un organico sì più livellato, ma ampio e meglio assortito. Anche se a dire il vero – confessa in chiusura mister Di Meco – l’obiettivo a cui teniamo di più è la Coppa Disciplina. Peraltro già conquistata in due occasioni (negli ultimi sei anni, ndr) e che, a conti fatta, oltre ad essere il vero fiore all’occhiello di questa squadra, rappresenta a tutti gli effetti una sorta di riscatto morale dei suoi componenti».

Nel frattempo, i suoi ragazzi hanno iniziato nel migliore dei modi la stagione, collezionando sei punti nelle prime due giornate di campionato (14 gol fatti, 3 subiti) frutto dei successi conquistati a spese di Sant’Eusanio e Scerni, mentre è stata rinviata la gara col Real Archi, in programma nel terzo turno.

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