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Affrontare il dissesto idrogeologico senza versare lacrime di coccodrillo

Causa sempre pià spesso distruzione e morti, ma ancora troppo poco viene fatto. In Italia due comuni su tre hanno abitazioni costruiti in aree golenali, occorre un urgente cambiamento culturale.

L’Italia non è un Paese tropicale, ma sempre più spesso poche ore di pioggia arrivano a creare danni da ciclone caraibico o tifone asiatico. Perché? È davvero colpa della potenza imprevedibile della natura?

A questa domanda sembra si possa rispondere semplicemente, No.  Sono ormai anni che puntualmente in autunno con l’arrivo di intense piogge aumenta il terrore di allagamenti, alluvioni, frane e smottamenti. Prezzi che gli italiani pagano quasi sempre non solo con danni a cose e abitazioni, ma purtroppo con la vita. Solo nelle ultime settimane tra Marche, Sardegna e Abruzzo le forti piogge hanno mietuto distruzione e morte.

Scaricare ogni colpa solo su fatalità e natura, oltre ad essere fin troppo semplice è riduttivo. A differenza di terremoti o eruzioni, non prevedibili, la pioggia autunnale dovrebbe esser preventivata e conosciuta. Il problema, come sempre non è la Terra, ma di cosa l’uomo ha fatto su di essa, e sono proprio le pratiche umane ad aver fatto del dissesto idrogeologico in Italia uno dei problemi più gravi.

Il surriscaldamento del pianeta da solo non basta a giustificare i danni che annualmente il nostro territorio subisce, anche se è causa principale dell’aumento di quantità e potenza delle precipitazioni. Le altre cause sono imputabili al cattivo uso del suolo e al non rispetto del terreno come: abusivismo edilizio, cementificazione selvaggia ed edificazione in aree golenali. Tutti fattori che riescono a svilupparsi in un contesto di latente e spesso pessima gestione del territorio.

In Italia ogni anno si cementificano vastissime aree verdi, e spessissimo in aree golenali. Le golene sono le aree comprese tra la riva di un fiume e il suo argine. Spesso queste sono, per la conformazione geografica dei vari territori, molto ampie. Questo perché agiscono come dei veri invasi di emergenza a seguito di eventi alluvionali, che ovviamente sono assolutamente naturali. In pratica qualora il letto del fiume non contenga le piene queste aree contengono gli eccessi della portata. Logicamente per l’importanza e la pericolosità, quelle aree non dovrebbero essere assolutamente oggetto di cementificazione, eppure in Italia, circa due comuni su tre hanno delle abitazioni, se non peggio interi quartieri, costruite in aree golenali.

Secondo i numeri il dissesto è un vero e proprio cancro di cui non si può più ignorare l’esistenza o ricordarcelo solo quando accadono disgrazie. Come un cancro, bisogna affrontarlo di petto.. Legambiente con un articolo del 2010 dichiara che addirittura il 68,9% dei comuni, ovvero 5.581, occupano aree in cui vi è un alto pericolo di rischio idrogeologico. Dal 1990 sono 10.000 le persone coinvolte tra morti, feriti e dispersi, ed oltre 350.000 sfollati. Cifre da guerra. A livello economico sarebbero necessari 43 miliardi di euro solo per mettere in sicurezza il territorio.

Leccarsi le ferite ogni volta che la natura presenta il suo conto non è una soluzione. Occorre invece un importante salto culturale, e non accorrere solo dopo che il danno è fatto per tentando di fare da tappabuchi. Una pianificazione per risolvere questa situazione, che diventa ipocritamente di interesse pubblico solo in circostanze drammatica, non è più rimandabile. Bisogna urgentemente ripartire dalla previsione, attraverso studi che determino le cause dei fenomeni e agire preventivamente. Le attività devono andare ad evitare o ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni . Il cambiamento culturale deve esser portato avanti sia dalla società politica che a quella civile. Non è più possibile mangiare territorio in maniera arbitraria e irresponsabile, oppure le ferite da dover leccare saranno sempre più  profonde e numerose.

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