Sepoltura di Colle Gallo, al via gli esami antropologici. Intanto continuano i saggi sulle fosse granarie FOTO
Al via il progetto inerente alle verifiche antropologiche e di esatta datazione sui reperti relativi alla sepoltura femminile [presunto IV-III a.C.] oggetto dell’eccezionale scoperta di fine anno in Piazza San Giustino. Come annunziato il 18 gennaio, l’Università D’Annunzio e la Soprintendenza ai Beni Artistici, Paesaggistici ed Archeologici Chieti-Pescara si sono riproposti di contemplare in una convenzione il disciplinare della stretta collaborazione che consentirà di risalire al profilo biologico della “Principessa Marrucina”. E nella serata di venerdì i vertici del Dipartimento di Medicina e Scienze dell’Invecchiamento, diretto dal professor Francesco Cipollone, hanno formalmente approvato la relazione del professor Luigi Capasso, responsabile dell’Unità operativa, destinando risorse e competenze professionali all’ambizioso progetto di ricostruire per così dire l’anamnesi in senso lato, e la datazione dei resti scheletrici col metodo d’indagine del radiocarbonio, della per ora misteriosa dama. Adesso manca solo il passaggio, altrettanto formale ma nella sostanza già anticipato la settimana scorsa dal funzionario archeologo Rosanna Tuteri, della firma congiunta dell’annunciata convenzione. Ed il “personaggio femminile di elevato rango”, sfuggito miracolosamente alle manomissioni ed alterazioni di Colle Gallo perpetratesi nel corso dei secoli, avrà, oltre all’illustre passato, anche un luminoso e prospettico futuro. “Passaggio burocratico necessario per un obiettivo importante”, spiega il professor Capasso, “la convenzione è stata approvata in Dipartimento, dunque possiamo passare alla firma da parte del direttore Cipollone e della soprintendente Rosaria Mencarelli”. La dama di Colle Gallo, subito da queste colonne battezzata con il romantico appellativo di “Principessa Marrucina”, per via del suo ricco corredo, per l’appunto sfarzoso, dunque “principesco”, è altrimenti denominata dagli stessi addetti ai lavori “Marouca” [o Maruca, Marruca e Marica], in omaggio alla maga, o fata, sacerdotessa od anche dea, che legò la propria leggenda alla località sacra della Grotta del Colle, nei pressi della antica città fortificata di Civita di Danzica in agro di Rapino [per gli effetti conosciuta anche come “Touta Marouca”], ove venne rinvenuta, fra altri reperti, la c.d. “Tabula Rapinensis”, tavoletta in bronzo [metà del III sec. a.C.] la cui iscrizione in latino irregolare rilasciò agli studiosi importanti notizie sull’assetto sociale dei Marrucini. Secondo le prime valutazioni degli specialisti, la sepoltura di Marouca sarebbe da inquadrare in un ambito sepolcrale più esteso, andato disperso a seguito, come detto, delle radicali trasformazioni che Colle Gallo ha subito nel corso dei secoli. In città si sono nel passato annoverati anche altri rinvenimenti di III a.C. [addirittura, per una sepoltura rinvenuta nel 1890 alla Civitella, lo Zecca parlò di Età del Ferro], ed in almeno un caso, quello del versante orientale [Via Principessa di Piemonte e Via di Porta Monacisca], si ha contezza certa della natura di necropoli marrucina del contesto archeologico [vedasi G. Obletter ed A. Antonucci in ‘Teate Antiqua’], mentre di probabile, iniziale vocazione marrucina, poi romana, sarebbe la necropoli insistente sotto Piazza Garibaldi.
Nel campo scientifico si discute se la localizzazione delle necropoli dovesse, come sembrerebbe, necessariamente individuarsi in zone distanti dall’abitato. A fine anni 90 si registrarono importanti indizi che avrebbero portato a ridisegnare l’estensione dell’insediamento marrucino. In una proprietà privata di Via Asinio Herio, durante i lavori di realizzazione di un’autorimessa, vennero localizzate delle fondamenta di un manufatto compatibile con il periodo italico della Città. Nel 1998, a seguito di lavori pubblici a margine di Piazza Barbella e nel contesto di importanti testimonianze del primo Foro romano, furono rinvenuti resti di copertura fittile ascrivibile ad un edificio di epoca pre-repubblicana. Con la novità, quindi, dell’essersi accertata una ulteriore estensione dell’abitato marrucino [che fino ad allora si pensava al massimo prolungato, dal rione Civitella, nella conca dove poi sarebbero stati edificati i Templi Romani], circostanza che renderebbe di stretta attualità il rapporto spazio-temporale tra abitato italico e sepolcreti italici. Nel senso, e qui torniamo nello specifico alla sepoltura di Colle Gallo, che da Piazza Barbella a Piazza San Giustino corrono poco più di cento metri, quindi troppo poco spazio, secondo i presupposti della discussione in corso, per ipotizzarsi l’esistenza di un altro, esteso sepolcreto italico ricomprendente la tomba di Marouca. A meno che, come peraltro verosimile, l’abitato marrucino non ebbe ad un certo stadio del suo sviluppo un ulteriore incremento urbanistico, anche verso nord, rispetto ad un supposto e già esistente insediamento cimiteriale del secondo Colle teatino.
Di tutto ciò si parlerà anche all’esito delle indagini di cui alla Convenzione tra l’Università D’Annunzio e la Soprintendenza. Ma la eccezionalità della scoperta e la concomitante assenza, fino ad oggi, di reperti analoghi o comunque tali da accreditare altre sepolture del periodo italico-ellenista, sebbene al netto delle richiamate alterazioni del sito [ma non sono stati rinvenuti, stando alle informazioni rilasciate dall’Ente di tutela, nemmeno frammenti ossei compatibili con scassi selvaggi ad eccezione dei resti di individuo di epoca carolingia], aprono, ‘status artis’, lo scenario ad un’altra ipotesi. Ossia che la tomba di Marouca fosse stata in quel locus incastonata proprio per conferire solennità esclusiva alla figura, al ruolo ed al lignaggio della inumata. E qui, se vogliamo rilasciare un altro dato, comunque interessante, ci sarebbe da considerare anche l’orientamento astrale dello scheletro della “Principessa marrucina”. Che è fattualmente collocato, nello sviluppo testa [verso il mare] - piedi [verso il Gran Sasso], sull’asse est-ovest del ciclo del sole, senza per questo scomodare suggestive teorie pur evocabili. Pertanto, trattasi solo di un dato astronomico che tuttavia, nella letteratura di settore, ritroviamo spesso ad indicare particolari asset religiosi, sacrali e sociali. Intanto, in Piazza San Giustino proseguono gli scavi di archeologia preventiva con riguardo allo studio di quelle che gli archeologi ormai considerano “fosse granarie”. Ce ne sono diverse nei pressi della cisterna domestica antistante Palazzo d’Achille e della stessa sepoltura marrucina. Anche qui un rompicapo che sta appassionando la ricerca scientifica. Le fosse si presentano con caratteristiche diverse l’una dall’altra. Si spazia da quelle che evidenziano un “colletto” o bordo ben individuato [in un caso si nota un’evidente porzione di muratura all’altezza dell’orlo], ad altre che presenterebbero elementi di rivestimento in cocciopesto, a quelle di forma atipica, ossia concave, quasi a cucchiaio. Certamente si dovranno attendere gli esiti delle stratigrafie in corso anche se, ad oggi, le porzioni scavate dovrebbero in parte coincidere con quelle dei riempimenti artificiali effettuati in sede di alterazione delle quote della piazza. Da tener conto, infatti, che le graminacee e le altre derrate stipabili nelle fosse, fino a profondità anche di 10 metri, generavano, a causa dei processi di fermentazione vegetativa, anidride carbonica utile alla eliminazione dei parassiti. Le fosse non venivano di solito riempite fino all’orlo per dare modo all’anidride carbonica di disperdersi gradualmente in una specie di spazio di decompressione vuoto e sottostante la copertura di questi silos ‘ante litteram’. Da stabilire con esattezza anche il periodo di tali reperti. Il tutto per addivenire alla complessa ed affascinante ricostruzione degli utilizzi nel tempo della Piazza e consegnarne la memoria alle prossime generazioni di teatini.