Scavi piazza San Giustino: analogie fra la porzione di colonna rinvenuta e il fusto di colonna che sostiene il busto del Patrono nella cripta
In quei 58 centimetri di diametro una analogia sorprendente. La porzione di colonna romana rinvenuta il 19 aprile scorso in piazza San Giustino, nella stessa area di prossimità dell’ipogeo ottocentesco sul cui lato ovest è tornato alla luce il mosaico studiato da Vincenzo Zecca, richiama il fusto di colonna collocato nella cripta della Cattedrale che sorregge il busto bronzeo di San Giustino [opera del maestro teatino Luciano Primavera]. Stesso diametro, stesse caratteristiche: colonna strutturale non lavorata.
Avevamo sotto gli occhi un accostamento affatto azzardato che potrebbe essere utile per una chiave di lettura storico-scientifica sugli assetti scientifici della piazza nel corso dei secoli. E le somiglianze fra i due reperti parlano di un luogo evocativo caratterizzato da uno sviluppo architettonico che non può essere confinato ad area suburbana della città antica, realizzando, viceversa, come già asserito su questa testata, un vero e proprio polo urbano, a rilevanza pubblica, gentilizia e sacrale. La porzione di colonna estratta una settimana fa dall’escavatore della ditta appaltatrice dei lavori di riqualificazione ed il fusto di colonna che sorregge il busto del Santo Patrono potrebbero essere dello stesso “lotto” di elementi strutturali, insieme a trabeazioni e capitelli, riferibili a vestigia romane di un excursus temporale a cavallo dell’età augustea.
La porzione di colonna di 58 cm di diametro per circa 1 metro di altezza, riemersa nei pressi del perimetro ricalcante la pianta della cisterna ottocentesca e distinta da irregolarità causate dalle effrazioni verosimilmente prodottesi in sede di crollo o di reimpiego ad uso sotto-massetto, e la colonna di 1,40 m di altezza, per lo stesso diametro di 58 cm, collocata nel 2007 nella cripta e dopo poco adibita a sostegno del predetto busto di San Giustino, autorizzano a supporre la medesima derivazione.
La loro possenza induce a stimarne una funzione importante, sicuramente non confinata ad impieghi decorativi visto che entrambi i reperti non sono lavorati. Il fusto della cripta proviene dal cortile dell’Arcivescovado, situato nel retro di uno dei tanti edifici dei baroni Valignani, nel caso di specie quello di cui alla annessa torre merlata fatta erigere nel 1470 dal vescovo Colantonio Valignani. In effetti il centro storico reca molti esempi di testimonianze romane custodite in dimore nobiliari e la colonna in questione ne è un prezioso esempio. Il trasporto in cattedrale venne curato dai vigili del fuoco del comando provinciale di Chieti, gli stessi che il 31 marzo scorso trasferirono a Scafa, dal tribunale di Chieti, i resti di preziosi bassorilievi ascrivibili a mausoleo di un legionario, un “equites” che servì Roma in numerose campagne militari. Le ipotesi. Tempio dedicato ad Ercole, i cui resti sarebbero da collegare a resti murari in calcestruzzo romano insistenti sotto il battistero della Basilica superiore, la cui “versione” attuale è quella commissionata nel 1599 dall’arcivescovo Matteo Samminiati e realizzata in porfido di Verona. In origine si suppone che l’edificio sacro fosse supportato da colonne poderose, una delle quali caratterizzata da rilievi simboleggianti le famose “dodici fatiche” di cui Eracle [in greco] si rese protagonista. Di questa colonna non si ha più alcuna traccia, mentre per le altre colonne, quelle per l’appunto non decorate, si pensava ad un reimpiego postumo, però anch’esso, ormai, di pressoché ardua se non impossibile individuazione e dimostrazione. Ora, il rinvenimento della porzione di colonna durante gli scavi ha reso possibile il collegamento, per le considerazioni su esposte, con il fusto proveniente dall’Arcivescovado, dunque da un’area molto vicina a Colle Gallo, quindi compatibile con un unico, originario impiego. Il risultato è che i due reperti potrebbero essere porzioni di quell’edificio sacro dedicato ad Ercole spesso citato nelle fonti a metà strada fra evidenze scientifiche e mitologia. Ma c’è anche un’altra possibile lettura.
E cioè che i due resti di colonne provengano da un colonnato che in origine si apriva sulla piazza, schema di arredo urbano poi ripreso a fine 1600. Scrive lo storico e saggista Raffaele Bigi che “piazza San Giustino è stata circondata da colonne porticate fino al 1776”, aggiungendo che, prima ancora, “nel 1693 crollò un portico composto da sette colonne e sei archi che si anteponeva alla Cattedrale, poi fatto ricostruire dall’arcivescovo Rodolovich …” [R. Bigi, Chieti -passato, presente e … futuro-, edizioni Rocco Carabba, Lanciano, 2012].
L’interrogativo resta: si tratta di colonne di epoca romana riutilizzate in epoca moderna, oppure il nesso fra le due epoche è rappresentato solo dal fatto che in pieno 1600 si ripropose, ricalcandone la pianta, un’opera architettonica del I secolo? Gli spunti di riflessione e di collegamenti sinergici al vaglio degli archeologici certamente non mancano. Intanto, stanno per avviarsi i sondaggi curati dalla Soprintendenza antistanti la residenza storica municipale e palazzo Sirolli, nel mentre ancora più interessante si fa il quadro dell’area di rispetto indagata attorno al mosaico dello Zecca. Stanno riemergendo le porzioni, purtroppo solo a livello di prime linee di mattoni, dati i livellamenti cui la piazza è stata sottoposta nel corso dei secoli, di un ampio edificio, articolato in locali attigui, ricomprendente la pavimentazione di pregio fino ad oggi rinvenuta ed i resti di intonaco policromo di cui alla stanza che la ospitava. Lo Zecca propendeva per la natura di un edificio funerario [mausoleo], per il Lanzellotti si tratterebbe di un esteso edificio sacro. A breve sarà interdetto l’accesso in piazza da via Arcivescovado.
Da rimuovere l’edicola antistante palazzo Obletter, la cui attività si è trasferita in un locale di corso Marrucino, alla sinistra di via Chiarini. Per le ricognizioni da effettuare nella porzione di piazza non ancora indagata sarebbe utile poter ricorrere al supporto del georadar, considerato che la precedente ricognizione [2018] fu parziale, limitandosi alla zona di piazza antistante il Tribunale dove venne rinvenuta una cisterna risalente al 1600.