Il Marrucino festeggia i 203 anni, conclusasi con La Traviata la due giorni di eventi per la ristrutturazione "inclusiva"
Con la magistrale direzione del Maestro concertatore, l’israeliano Daniel Oren, ne “La Traviata” di Giuseppe Verdi [libretto di Francesco Maria Piave, soprano Maria Mudryac nelle vesti di Violetta, tenore Azer Zada nei panni di Alfredo, Orchestra sinfonica abruzzese, Coro del Teatro Marrucino, regia di Riccardo Canessa], in replica domenica pomeriggio, si chiude la due giorni di eventi per la restituzione alla Città del suo Teatro Lirico di Tradizione dopo il restauro “inclusivo” conclusosi alla fine di settembre.
“Ora inizia il bello”, dice il presidente del CdA del Marrucino Giustino Angeloni, “gli ultimi interventi di riqualificazione ci hanno restituito, concedetemi il paragone automobilistico, una fiammante Ferrari e dovremo essere capaci di farla girare al meglio, il cartellone prevede trenta rappresentazioni, ma è in agenda anche il teatro per i ragazzi e quello dialettale”. Il vice-sindaco ed assessore alla cultura Paolo De Cesare torna a ringraziare “l’architetto Salvatore Polimeno, progettista e direttore dei lavori, e le maestranze del teatro, per la passione e la dedizione dimostrate nella qualificata opera di restauro, primo fra tutti Pino Milazzo, responsabile della manutenzione dell’ente”. Ed anche il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio, ospite d’onore alla prima de La Traviata, si lascia andare ad un sincero “viva Chieti, viva il suo Teatro, punta massima della Cultura regionale, viva l’Abruzzo”. Ci sarà da raccogliere in un ideale “libro bianco” le decine di dichiarazioni ufficiali da parte di addetti ai lavori e rappresentati delle Istituzioni e del mondo politico per ricordarci, anche nei momenti di difficoltà gestionale che pure di recente non hanno risparmiato il Marrucino, le ricette vincenti per affermare definitivamente l’idea di un Teatro all’avanguardia, artisticamente all’altezza della sua ormai irreversibile funzione trainante nella regione ed anche in un’ampia fascia territoriale ultraregionale e, dal punto di vista etico, inclusivo ed aperto alle “contaminazioni” dei giovani e delle famiglie. Un teatro che ha festeggiato i 203 anni dalla sua fondazione, risalente al lontano 1818.
Ma andiamo con ordine. Nel corso dei primi anni del 1800 sorge la necessità di dotare la Città di un nuovo teatro, con capienza e caratteristiche più adeguate alla domanda culturale dell’allora capoluogo borbonico. Con reale decreto del 21 febbraio del 1811, le autorità decurionali individuano nell’area della Chiesa di Sant’Ignazio, già da tempo sconsacrata e adibita ad altre funzioni pubbliche, il sito in cui erigere una struttura teatrale di largo respiro artistico che potesse divenire punto di riferimento per il territorio più ad est del Regno. E’ il primo atto formale che sancisce il pensionamento del così detto “Teatro Vecchio”, la elegante ma piccola struttura privata [200 posti] di proprietà della nobildonna Anna Maria Fasolo, edificata nel 1750 nei pressi di Palazzo de’ Majo e che durante il primo conflitto mondiale, dopo altre fruizioni, ospitò i vertici militari dell’Esercito Italiano opportunamente trasferiti da Venezia, troppo esposta sulla linea del fronte. Il 2 dicembre 1812, con una previsione di spesa di circa 38.000 lire delle Due Sicilie, l’intendente Montejasi licenzia il progetto firmato e realizzato dall’architetto teramano Eugenio Michitelli per “la costruzione di un teatro tanto necessario ed utile in un comune capoluogo”, comprendente anche i costi di demolizione dell’ex edificio religioso. Michitelli si lascia affascinare da una idea semplice e vincente: realizzare un teatro per caratteristiche molto simile al San Carlo di Napoli anche se ovviamente più piccolo. Un teatro che non offuschi i fasti di corte ma che, lungi dall’essere periferico nel senso della “diminutio”, rifletta sulla provincia adriatica del Regno delle due Sicilie l’amore per l’arte e per la musica tipico della Capitale, Napoli. Ma insidie burocratiche e beghe di palazzo sono dietro l’angolo. Dall’inizio lavori del 1813 si succedono tre anni di vertenze, liti giudiziarie, addirittura suppliche al Pontefice Pio VII ed alla Corona da parte del sindaco barone Frigerj. C’è da superare la posizione del Ministero del Culto che aveva disposto il ripristino dell’uso religioso nelle chiese adibite a destinazioni “sordide ed indecenti”.
La tesi “difensiva” osservata dal Consiglio Comunale fonda sulla circostanza giusta la quale la Chiesa di Sant’Ignazio, al momento della sua demolizione, già era stata sconsacrata essendosi nel tempo registrate diverse violazioni all’alto ufficio religioso per il quale venne concepita, per gli effetti nel tempo divenendo carcere, scuderia della cavalleria regia, sede della Corte speciale che ivi dispose e fece eseguire finanche una esecuzione capitale. Inoltre, dal punto di vista dei riti sacri, l’Assise civica obietta che nei pressi vi sono ben tre Chiese [San Domenico, San Francesco, Cattedrale di San Giustino], tutte titolate e di tradizione, capaci di soddisfare le esigenze dei fedeli; ed in subordine che, comunque, i lavori di edificazione del nuovo teatro cittadino sono ormai a buon punto. La querelle burocratica si sblocca con atto “motu proprio” di Ferdinando I, partecipato al Sindaco dall’Intendente dell’Abruzzo Citeriore, Giuseppe Caracciolo Marchese di Sant’Agapito, con formale comunicazione del 26 gennaio 1816. In segno di riconoscenza per la illuminata decisione, l’Amministrazione comunale dedica l’edificio proprio al Sovrano. Di qui la titolazione di “Teatro Ferdinando I di Borbone”. Seguono altri due anni di intensi lavori, con le pitture di Raffaele Grimaldi di Fermo e gli allestimenti scenografici curati dal Cav. Antonio Nicolini, architetto dei Reali Teatri di Napoli. Il 14 gennaio del 1818 arriva finalmente il giorno più lungo, quello della “overture” ufficiale con la Cenerentola di Rossini. Con l’unificazione d’Italia il teatro assume l’attuale denominazione di Teatro Marrucino.
Tra il 1873 ed il 1879 si registrano numerosi interventi riorganizzativi, se non di vera e propria ristrutturazione, diretti dall’Ingegner Vecchi. Più spazio per la platea [che vanterà 20 poltrone e 146 sedie] con l’avanzamento fin sotto il proscenio dell’alloggiamento dell’orchestra, 14 palchi di I ordine, 15 palchi cadauno per gli ordini II, III e IV, quest’ultimo ricavato negli spazi del Loggione. Per ciascun settore si aggiungono due palchi insistenti sul proscenio. Il nuovo Loggione, infine, di ben 120 posti, viene allestito grazie ad una sopraelevazione dell’edificio. Non si trascura niente. Dai nuovi stucchi del Samoggia, ai paggi in terracotta disposti all’entrata, opere di Costantino Barbella. Il pezzo forte è rappresentato dal sipario artistico dipinto nel 1875 dal pittore napoletano Giovanni Ponticelli, montato nell’aprile del 1876 alla presenza dell’Autore, che “narra” il trionfo [39 d.C.] sul popolo illirico dei Partini del console teatino Caio [o Gaio] Asinio Pollione. “Tutta questa enorme tela di ben 1500 palmi larga e lunga per 36, può ben dividersi in due distinte parti, lo spettacolo e gli spettatori. Abbraccia la prima il carro trionfale col trionfatore, i sacerdoti, i littori ed i prigionieri sugli elefanti; stanno nella seconda più di 300 figure di popolo plaudente, una parte sui portici di una elevata basilica, la massima intorno e, dietro, il carro. La scena è raffigurata in un’ampia strada che mena al Campidoglio … in una tabella la legenda Asinius Pollio de Parthinis, e [sullo sfondo] frontoni e colonnati di Templi e sontuosi edifici … [nel mentre] i tibicini [i suonatori di flauti] precedono il carro, i littori lo circondano, i Senatori ed i Sacerdoti lo accompagnano e lo seguono. Maestosa e solenne scena è codesta, propriamente romana” [tratto da un opuscolo dello storico Lauria, conservato nella biblioteca provinciale A.C. De Meis]. Il sipario artistico di Giovanni Ponticelli ci riporta al periodo romano, col quale il Teatro ha un forte legame storico-archeologico. Preziosi reperti, tra cui i resti di una strada imperiale, insistono sotto le fondamenta dell’ex Chiesa di Sant’Ignazio. Nel cortile dell’adiacente palazzo Martinetti, poco al di sotto del piano di calpestio, si intersecano diverticoli viari che testimoniano l’espansione della città romana nei lati est e nord-est del crinale del Colle. Di fronte all’ingresso principale, a meno di metri dal piano di calpestio, insiste porzione di fine mosaico rinvenuto nel 2004, allo stato non visibile, verosimilmente facente parte di un edificio annonario. La fase ottocentesca di ristrutturazione del teatro troverà la sua summa espressiva il 29 aprile 1876, allorquando la esecuzione del Faust di Gounod restituisce ai teatini un teatro all’avanguardia. La stampa locale e nazionale magnifica l’evento con giudizi lusinghieri che sottolineano, unanimi, il vanto per Chieti di poter disporre di “un teatro in grado di rivaleggiare, per eleganza e buon gusto con i principali delle più artistiche Città d’Italia”. Il 18 novembre 1878 viene allestita, in via straordinaria, una importante serata di gala in onore di Umberto I, Re d’Italia, sia in omaggio alla sua visita a Chieti del 14 novembre, sia per festeggiare lo scampato pericolo all’attentato subito dal Sovrano a Napoli, il 17 novembre. Il 1904 saluta la prima della “Figlia di Jorio” di Gabriele D’Annunzio. Il Vate, presente al Marrucino, riceverà la cittadinanza onoraria teatina. Un salto, dopo la decadenza successiva al secondo conflitto mondiale, agli anni 60-70 e così approdare al progetto di ristrutturazione dell’architetto Renzo Mancini, in sostituzione dello studio dell’architetto Caliterna [cassato dalla Soprintendenza]: attenzione al dato artistico della struttura ma soprattutto adeguamenti antinfortunistici e sulla sicurezza antincendio. Si terrà anche conto, in termini di efficientamento dei servizi e di integrazione con la struttura storica dell’edificio, della realizzazione, a partire dal 1970, del nuovo corpo di fabbrica che ha conferito più ampio respiro all’intero complesso, come tratteggiato, in un suo approfondito e sinergico studio, dall’architetto Elena Ruffini. Il Marrucino viene così nuovamente restituito alla Città il 29 aprile 1972 ma bisognerà attendere l’11 novembre per celebrare, con una eccezionale serata di lirica, l’abbraccio fra i teatini ed il loro teatro.
Protagonista l’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, diretta dal maestro Pier Giorgio Urbini, con l’overture della Cenerentola di Rossini. Un omaggio a quel lontano 14 gennaio del 1818, dies natalis del teatro: stessa opera lirica, stesse emozioni. Emozioni cui contribuiscono nel tempo i vari soprintendenti succedutisi fra i quali ricordare per impegno e passione Mario Zuccarini ed Aurelio Bigi, con gli auguri più intensi al da poco insediatosi presidente del CdA del teatro, Ingegner Giustino Angeloni, succeduto nella carica all’Avvocato Cristiano Sicari. “Teatre aripulite e luccicante … Chi scì benedette ore e muminte, apre ‘sse porte e fa ‘ndrà tutti quinte … S’ha da sintì ‘accantà pure da fore, è queste lu Vangelè cchiù lucente …” . E’ uno stralcio della poesia in vernacolo “Timpe di Picciunare” dedicata da Raffaele Fraticelli al restauro del Teatro Marrucino conclusosi nell’aprile 1972. Siamo dunque arrivati a questi due giorni magici del 7 ed 8 ottobre 2021. Grazie ad un finanziamento di 657.847,00 euro erogato dal Fondo per lo sviluppo e la coesione 2010-2020 il Marrucino cambia di nuovo look. Si sostituiscono le sedute, si inseriscono supporti informatici per i non udenti, si prevedono un ascensore nell’ala moderna, quella dei servizi, ed una piattaforma elevatrice che dal foyer consentirà l’accesso diretto al palcoscenico. Si elimina, insomma, ogni tipo di “barriera” che impedisce l’inclusione dei cittadini con difficoltà fisiche e motorie. Nuova pavimentazione ed illuminazione. Ma soprattutto nuova mentalità. Quella di un Teatro europeo, un Teatro che attira e cura, come precisato in un opuscolo del MiC-Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le province di Chieti e Pescara, il benessere culturale degli individui e delle comunità. Salutiamo il nuovo Marrucino con le parole del monumentale Peppino De Filippo: “Avete uno splendido teatro, difendetelo, non lasciate che lo rovinino. Non lasciatelo inquinare e, soprattutto, fate che non vi entri la politica”.
*FONTI principali: Teate Antiqua [La Città di Chieti], ed, Il Vecchio Faggio, 1991, Autori vari fra cui Mario Zuccarini; Teatro Marrucino 1972-1982, di Mario Zuccarini, ed. Comune di Chieti; Chieti Passato, Presente e … Futuro, di Raffaele Bigi, ed. Carabba, 2012; Chieti in un Giorno, di Oscar D’Angelo e Marco di Clemente, ed. Comune di Chieti, 2000, assessorato alla promozione turistica.