Giuseppe Mezzanotte, al museo Barbella l'omaggio al poliedrico artista teatino
Giuseppe Mezzanotte [Chieti 1855-1935], l’artista dalla malinconica solitudine delle anime nobili. Di sentimenti e passioni ideali. “Giornalista” del suo tempo, tanto da attraversarne con lucida capacità narrativa e di cronaca prima gli anni di rottura fra l’eredità borbonica ed il consolidarsi dell’esperienza Unitaria; e poi la trasformazione dello Stato liberale in quello autoritario fino al periodo del così detto “Consenso”.
E, con la sua arte, forgiatasi nel carattere degli amici del Cenacolo Dannunziano, da Michetti a Barbella, da D’Annunzio a Tosti, Scarfoglio e Serao, versatile innovatore nel raccontare, con l’arguta penna dello scrittore e con i delicati quanto incisivi tratti del caricaturista, le storie delle ricche [di Cultura] e sapienti [di tradizioni e saggezza popolare] province del Mezzogiorno. Innanzitutto della “sua” Chieti. Della quale era innamorato al punto da farne, di concerto con la moglie Flora De Virgilii, una scelta di vita al suo ritorno da Napoli dopo la esaltante collaborazione con “Il Mattino” [famoso il ‘feuilleton’ “La Setta degli Spettri”]. Città, Napoli, che conservava tutto il fascino della capitale culturale italiana. Ideale dunque per creare e promuovere Cultura, ma forse inadatta per conciliare uno stile di vita “grandeur” con le sopraggiunte occorrenze di carattere familiare. Di Giuseppe Mezzanotte, dei suoi rapporti con l’arte partenopea, in primis quella dello scrittore-giornalista e drammaturgo Roberto Bracco, e con quella abruzzese del citato Cenacolo Michettiano; del suo essere Autore di respiro nazionale ma di radicata ed affatto riduttiva estrazione locale; degli aspetti noti e meno noti della sua vita, delle curiosità, degli aneddoti e della sua ampia ed in parte incompiuta ed a lungo inedita produzione saggistico-letteraria, si è parlato ieri al Museo d’arte Costantino Barbella grazie ai tipi dell’associazione “Il Giardino delle Pubbliche Letture” [presentazione in sala a cura di Carmela Caiani] in collaborazione con il Dipartimento di Lettere, Arti e Scienze Sociali dell’Ateneo Gabriele D’Annunzio. Ampia e dettagliata la relazione curata da Antonella Di Nallo, docente associata di Letteratura teatrale italiana e di Didattica della Letteratura italiana. Che scandisce la figura del letterato teatino attraverso tre momenti iconici della sua produzione: “La tragedia di Senarica” del 1887, “I Racconti di Samuele Weller” e la “Serrata di Pian d’Avenna” che si collocano nella fase finale della intensa attività di questo figlio atipico della potente ed affermata famiglia Mezzanotte di Chieti. “Oltre la famiglia in senso stretto, ossia insieme di legami affettivo-parentali”, così spiega la professoressa Di Nallo, “quella dei Mezzanotte rispondeva al logotipo del partito dinastico da sempre dedito alla politica, un cugino del nostro Autore, Camillo Mezzanotte [Napoli 1842-Chieti 1909, Senatore del Regno d’Italia nella XVIII legislatura], ricoprì vari incarichi, tra cui per due volte la carica di sindaco di Chieti, raccogliendo la tradizione del padre Raffaele [Chieti 1811-1879, Ministro dei Lavori Pubblici nel Governo De Petris III], anch’egli navigato politico”.
Giuseppe Mezzanotte si troverà, dal punto di vista artistico, diciamo in rotta di collisione con un certo modo di interpretare il blasone familiare dei suoi parenti e metterà in scena, nel suo affresco socio-economico-culturale che è la “Tragedia di Senarica”, ispirata al contesto teatino essendo Senarica toponimo sì rispondente ad una frazione del Comune di Crognaleto [Te] ma adattato, per l’occasione, alla Città di Chieti, “il mondo del capoluogo teatino contraddistinto”, sottolinea Antonella Di Nallo, “da lotte politiche, da contraddizioni ma anche da fenomeni di autentico costume come le vere e proprie, piccole migrazioni estive delle famiglie teatine, ‘armi e bagagli’, verso la costa francavillese”. E mentre in Italia Giuseppe Mezzanotte incasserà i favori della critica [lo stesso Benedetto Croce parlerà di “romanzo robusto”], a livello locale, in particolare dalle colonne de “Il Giornale di Chieti”, gli sarà ingenerosamente rimproverato di indulgere troppo negli affari e nelle storie di famiglia. Non solo fine osservatore, però, delle dinamiche sociali del Mezzogiorno post-unitario. Ma anche ironico cesellatore dell’incontro tra classi e culture. E’ quello che accade ne “I racconti di Sam [Samuele] Weller”, di ispirazione dickensiana, e, nello specifico, nel godibile “Come io, essendo andato per affari a Corato, fui preso per un ladro di cani”, protagonista il nostro Giuseppe Mezzanotte, nei panni di un avvocato non proprio tagliato per l’attività forense. Brani tratti dal racconto sono stati letti da Vincenzo Bello, attore e studente del Dipartimento di Lettere, arti e Scienze sociali della D’Annunzio. Questo uno stralcio, dai contorni esilaranti, del colloquio fra l’Avvocato Mezzanotte ed il suo cliente, un agricoltore di Corato: “Avvocato”, chiede l’agricoltore a Mezzanotte, “non mi dai la caparra?” ... “Ma perché”, dice l’attonito Giuseppe Mezzanotte, “io sono il tuo avvocato … a che serve darti una caparra?” … Risposta del cliente: “ … ad evitare che ti metta d’accordo con la controparte…”.
Insomma, un siparietto davvero ben concepito. Terzo ed ultimo quadro illustrato dalla relatrice è il romanzo “La Serrata di Pian D’Avena”, e qui entriamo anche nella vena di sceneggiatore cinematografico che Giuseppe Mezzanotte sublimerà nel romanzo “Le mortifere mani”, iniziato nel 1904, precorrendo addirittura la più nota esperienza del “Kabiria” di Gabriele D’Annunzio, datata 1914. “Pian D’Avena”, spiega la professoressa Di Nallo, “nel linguaggio criptato dell’Autore doveva corrispondere all’attuale Bussi Officine che fin dal 1901 ospitava un insediamento industriale di proprietà inglese per la lavorazione dell’alluminio ed il Mezzanotte scriverà della condizione dei lavoratori e delle prime lotte operaie del movimento socialista”. C’è ancora lo spazio in questo excursus su Giuseppe per citare, da parte di Antonella Di Nallo, incontri salienti, come quello con Gabriele D’Annunzio del 24 giugno 1904 in occasione della prima abruzzese, al Teatro Marrucino, della “Figlia di Iorio” [nella circostanza venne conferita al Vate la cittadinanza onoraria]; altri romanzi del primo Mezzanotte, quali “Checchina Vetromile” e “Le Virtù di Checchina”; e le antesignane proiezioni a Chieti e Vasto, sul finire del 1800, del “cinema Lumière”. Omaggio, questo, ad un Mezzanotte versione sceneggiatore a tutto campo. Anzi, a “tutto schermo”!