"Dove è Dio nella pandemia?", al Palazzetto dei Veneziani dialoghi "smiles" dell'università d'Annunzio con Bruno Forte
“Dove è Dio nella pandemia?”. Nella libertà concessa all’uomo nell’autodeterminarsi e nella sofferenza dell’Altissimo nel rendersi interprete, primo tra gli uomini, di questa sofferenza. È la enunciazione dell’approdo ultimo degli interrogativi epocali posti alla nostra società dal Covid19. Un virus che cerca l’uomo a livello genetico per sfidarne le capacità reattive da un lato e di adattamento dall’altro. Ma anche, ed è questa la visione escatologica che scaturisce dalla condizione attuale diremo dell’“homo covid” parafrasando la definizione dell’uomo moderno, ossia l’“homo sapiens”, un virus che pone domande. Sollecitando le coscienze di un largo palcoscenico di protagonisti: cattolici osservanti, atei, agnostici, politici, movimenti di opinione, giovani. Di tutto ciò si è parlato ieri al Palazzetto dei Veneziani con l’arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto, Bruno Forte, nell’ambito degli incontri culturali “smiles” promossi dall’università d’Annunzio, già impegnata con la Curia nei collaudati cicli delle Quaestiones Quodlibetales proposti nel rettorato dell’ateneo. "Historia magistra vitae”, questo l’incipit di Padre Bruno, che cita Cicerone per evidenziare la funzione per così dire “vichiana” delle esperienze proposteci dalla Storia. “La peste nera”, spiega il presule, “si sviluppò nel XIV secolo proprio in Oriente, allora furono i Mongoli, già sofferenti e contagiati dalla peste, ad utilizzare un’arma letale, quella di catapultare i cadaveri degli appestati contro i genovesi [assedio di Caffa, l’odierna Feodosia in Crimea, da parte dell’esercito di Gani Beck, il Khan fondatore dell’Impero dell’Orda d’Oro, nda], oggi il virus parte ancora da quei territori anche se non mi avventuro in disquisizioni circa la causa della diffusione, ossia se trattasi di un incidente occorso in laboratorio come alcuni sostengono o un contagio prodottosi per altre ragioni”. Ed allora conoscere le dinamiche dei corsi e dei ricorsi servirà a sciogliere l’interrogativo posto dal tema del convegno? “Solo se confutiamo”, prosegue Forte, “l’assunto della onnipotenza di cui l’uomo si è spesso rivestito per giustificare i suoi limiti ed i suoi errori, la verità è che non abbiamo fatto tesoro di ciò che la storia insegna”. Ritenendo, per gli effetti, il progresso quale unico elemento salvifico dell’esistenza. Un progresso spesso più apparente che di vera sostanza, che rischia di produrre, purtroppo, altre sorprese. Ed al riguardo Bruno Forte richiama la testimonianza di Bill Gates, cioè l’imprenditore e filantropo statunitense che proprio sul progresso [quello informatico] ha costruito il suo modus operandi di successo. William Henry Gates III, queste le esatte generalità del sessantasettenne magnate americano, nel 2015, quindi in un periodo non sospetto, preconizzò che “se qualcosa ucciderà milioni di persone nel prossimo decennio questo sarà un virus e non, come credevo da ragazzo, una guerra nucleare”. Forte, che cita Leibniz, il teologo e matematico tedesco precursore dell’informatica e fautore del dialogo fra cattolici e protestanti, Karl Marx sulla questione ebraica, e Friedrich Nietzsche sulla “morte di Dio” [per il filosofo tedesco “Dio è morto e resta morto”, ucciso nella indifferenza degli uomini vili]: “siamo di fronte al crollo dell’uomo emancipato che si ritiene dominus su tutto”. Ed allora è necessario anche individuare il modello di trascendenza cui ispirarsi per dar corpo al secondo step della quaestio sulla presenza di Dio nella pandemia, ossia: “Come può esserci un Dio buono di fronte a questo male ed alla sofferenza che produce?”. Per l’arcivescovo teatino il riferimento non può essere quello del “Dio aristotelico”, che in quanto essere superiore non sarebbe tangibile dalle categorie del bene e del male, dunque è incorruttibile in termini di sofferenza, di dolore. Ma deve poter essere il logotipo del “Dio della tradizione ebraico-cristiana, capace anche di soffrire poiché capace di amare i propri figli nella piena libertà loro concessa”. Ricorda le soddisfazioni, Bruno Forte, raccolte dalla condivisione del suo pensiero teologico nel 1986 dall’allora cardinale Ratzinger, poi assurto al soglio pontificio il 19 aprile 2005. “Era l’anno dell’enciclica ‘Dominum et Vivificatem’ licenziata da Giovanni Paolo II che mi convocò perché incuriosito dal mio pensiero sul Dio sofferente”. Quindi il teorema: “Se Dio è capace di soffrire vuol dire che lo stesso Dio è dalla parte dei sofferenti”. Anche in periodo di pandemia. Col suo “tocco sull’umanità afflitta dal dolore”. Queste le frequenze su cui sintonizzarsi, per padre Bruno, al fine di ascoltare il “tocco di Dio”: a) l’attiva donazione agli altri [ricordato il sacrificio durante l’emergenza Covid di decine e decine di medici, operatori sanitari, cappellani e sacerdoti, con particolare riguardo al focolaio della bergamasca]; b) il sostegno della fede attraverso la preghiera [una preghiera di liberazione dalla pandemia di Bruno Forte è stata tradotta in dodici lingue]; c) la valorizzazione delle relazioni interpersonali [sulla elevata capacità all’ascolto prodotta, nonostante talune manifestazioni di segno inverso, nelle famiglie italiane durante la pandemia]; d) la vicinanza al Dio crocifisso [come testimoniato da Papa Francesco il 27 marzo 2020 in una desolata Piazza San Pietro baciata dalla pioggia battente]. A margine delle riflessioni poste da Bruno Forte, gli interventi di cattedratici e docenti: Luca Tommasi, sulla comunicazione mediatica “illusione di vicinanza” in periodo di pandemia; Ester Vitacolonna, sulla “attitudine del distanziamento a trasformare e spesso ad evolvere la nostra capacità di donazione e di affetto”; Francesco Chiarelli, sulla “trasformazione storica dell’approccio ai vaccini dai ‘sì vax’ del 1962 ai ‘no vax’ di oggi”; Michele Cascavilla, sulla “deriva di applicare a Dio le logiche punitive dell’uomo ritenendo la pandemia una punizione divina”; Andrea Lombardinilo, sulla “opportunità in periodi pandemici di lasciare fruibili le chiese, spazi ecclesiastici di sicurezza”; don Emiliano Straccini, sulle “didattiche più idonee per coinvolgere i giovani”; Giandomenico Palka, sulla “aggettivazione del Covid 19, ‘virus cattivo’?”. Interessanti spunti di dibattito anche dal pubblico: Valeria La Rovere, di Chieti, sulla “attualità dei promessi sposi con specifico richiamo ai capitoli 31 e 32 sulla peste scoppiata a Milano nel 1629”; Matteo, studente teatino, sulla “libertà nella quale Dio ci ha creato”; Marika, studentessa di Bucchianico, su “giovani e religione” e sulle “tradizioni popolari ed identitarie”.