L'odissea di un teatino bloccato in Bolivia: "Il ministero degli Esteri ci ha abbandonato, nessun volo dall'inizio del lockdown"
Scrivo queste righe da La Paz, dalla Bolivia in quarantena, con la speranza che leggiate fino in fondo. Sono Luca, un ragazzo abruzzese di Chieti, partito per un lungo viaggio in Sudamerica il 5 dicembre, quando il Coronavirus nemmeno esisteva. Ho viaggiato per mesi in Argentina e Cile, documentando con foto e parole ciò che incontravo, con l’obiettivo di viaggiare fino in Colombia, passando per Perù ed Ecuador.
Sono entrato in Bolivia il 12 febbraio. I primi casi di Coronavirus in questo Paese si sono verificati l’11 marzo. Due casi, esattamente. Dopo qualche giorno, il 17 marzo, la presidenta del Governo di transizione della Bolivia ha dichiarato lo stato di emergenza sanitaria nazionale, chiudendo tutte le frontiere in entrata e uscita, sia quelle terrestri, che quelle di mare e di aria. Sono stati bloccati tutti i voli in entrata e uscita. È stata dichiarata una quarantena obbligatoria con il divieto assoluto di uscire dalla dimora, tutti i giorni. Sono stati aboliti i treni e i bus da città a città e sono stati sospesi i mezzi urbani, sia taxi che autobus. Si è decretato la possibilità di uscire solo una volta a settimana per andare al supermercato in base all’ultimo numero di documento (chi possiede il documento che termina per 1 e 2 può far la spesa il lunedi, 3 e 4 martedi,5 e 6 mercoledi, così via dicendo).
Come me, ad oggi, ci sono altri circa 50 italiani bloccati nel Paese. Studenti, studentesse, viaggiatori, viaggiatrici, madri e padri con figli e figlie minori. Da un mese, quindi, ci siamo messi in contatto con l’ambasciata italiana a La Paz, per cercare supporto in questa situazione e capire come rientrare in Italia. Chiamate, mail quasi quotidiane. In un mese, però, l’ambasciata italiana non è riuscita ad organizzare nemmeno un volo di rientro. Nemmeno uno.
Dai paesi confinanti latinoamericani, invece, questo è avvenuto. La Farnesina, assieme alle ambasciate e ai Governi locali, ha organizzato voli dall’Argentina, dal Cile, dal Perù. Ciò che l’ambasciata italiana in Bolivia ha fatto, in questo mese, è mandarci alcune mail. Le prime mail erano le informazioni di un volo organizzato dall’ambasciata di Francia e Germania con arrivo a Parigi e Francoforte e le seconde mail per avvertirci di un volo organizzato dall’ambasciata di Malesia in Perù in arrivo a San Paolo in Brasile. Entrambi in maniera completamente disorganizzata, senza orari precisi, facendo numerosi scali e soprattutto a prezzi assurdi.
Un esempio? Il volo organizzato dall’ambasciata di Malesia da La Paz a San Paolo in Brasile costava circa 2.000 dollari. Poi da San Paolo, ovviamente, bisognava cercarsi un volo per rientrare in Italia. Altri soldi, quindi. E quanto avremmo speso? 3.000 euro? Senza contare, che, certamente non è molto sicuro fare mille scali, passare per mille aeroporti, con una pandemia in corso.
Perché in Argentina, in Cile, in Perù le nostre ambasciate hanno organizzato voli di rientro, e qui in Bolivia no? Perché le altre ambasciate di Paesi come la Germania, la Francia, la Spagna hanno organizzato voli di rimpatrio per i loro concittadini dalla Bolivia e l’Italia non lo fa? La situazione nel Paese, tra l’altro, è molto complessa. La sanità è pessima, non ci sono strutture con terapie intensive, e ad oggi, la percentuale di mortalità per Covid19 è tra le più alte nel mondo. Con 398 casi ci sono 28 decessi. Quindi in Bolivia si ha il 14,2% di possibilità di morire se ti infetti di Coronavirus (In Italia la percentuale di mortalità è del 7,6% ).
Cosa intende fare il ministero degli Esteri italiano? Farci rimanere qui per mesi? Perché non organizzano dei voli? Quello che voglio, che vogliamo, è tornare nelle nostre case, dai nostri affetti. Che Il ministero degli Esteri e l’ambasciata italiana a La Paz organizzino un volo di rimpatrio, sicuro e a prezzi accessibili, perché non tutti e tutte possiamo permetterci di spendere 3.000 euro per rientrare e non tutti e tutte vogliamo rischiare di infettarci passando per 4 o 5 scali, in 4 o 5 aereoporti.
Io ho dovuto affittarmi, appena in tempo, un appartamento di fortuna. Altri e altre sono in ostelli, altri ancora ospiti da qualche amico, conoscente. Ma saremmo costretti a rimanere qui, fino a quando? Questa situazione diventa sempre più insostenibile, difficile da gestire. Passare la quarantena è già di per sé complesso, ma farlo in un Paese straniero, con una lingua diversa, leggi diverse, senza conoscere la città in cui si è, con gli affetti lontani diventa complicato. Con l’occhio sempre sul telefono e sul pc, terrorizzato che, in Italia, qualcuno possa chiamarmi per dirmi qualcosa che non vorrei mai sentire o con la speranza di una mail per un volo. Ecco, questo senso di sconforto, rabbia e solitudine è giorno dopo giorno, sempre più forte.Vi chiedo di condividere questo appello, di postarlo sui vostri social, di farlo girare nelle vostre mail. Di dare voce a queste parole tramite giornali o media. Perché abbiamo paura, tutti e tutte, in questi giorni, e anche io ne ho. Non mi vergogno affatto a dirlo. Non mi vergogno a dire che mi sento precario in questa situazione. E come state sperimentando tutti e tutte da settimane di quarantena, sentirsi soli e sole, abbandonati, non è affatto una bella sensazione. Abbiamo bisogno di voi. Perché qui o se ne esce tutti e tutte assieme, o non se ne esce. Caro ministro degli Esteri Luigi Di Maio, caro ambasciatore Francesco Tafuri, possiamo darci una mossa?
Luca Profenna La Paz, Bolivia