La chiesa di San Domenico festeggia i 380 anni dalla fondazione, con Sacro e Profano alla scoperta delle vicende dell'ex tempio di Sant'Anna degli Scolopi
Una chiesa, quella di Sant’Anna degli Scolopi, oggi San Domenico, ed una storia che dura da 380 anni. Anzi, tante storie. Quelle legate alla ‘consecutio temporum’ che dal 1642, anno nel quale l’arcivescovo Stefano Sauli pose la prima pietra dell’edificio sacro e dell’annesso collegio, ha scandito, non solo le vicende architettonico-urbanistiche del tempio consacrato nel 1672 dopo un trentennio di sofferta gestazione, ma anche l’affermarsi di famiglie nobiliari, la ‘coabitazione’ di Ordini secolari, il susseguirsi di influssi artistici e correnti filosofico-umanistiche. Il tutto a cavallo tra quei XVII e XVIII secolo che tanto arricchirono i già elevati contenuti culturali della Chieti precontemporanea.
L’associazione “Sacro e Profano” va di nuovo a centro, diremmo “al centro” giocando con le parole indotte dalla collocazione logistica del monumento trattato, con questo nuovo contributo alla sintesi delle conoscenze del nostro patrimonio artistico-architettonico: “Storia ed Arte da Sant’Anna degli Scolopi ad oggi”. Un convegno quello di ieri sera in un luogo sacro, l’attuale chiesa di San Domenico al Corso, o forse più correttamente un luogo sacro che diventa esso stesso narrazione intensa, quasi una metabolizzazione itinerante di un DNA di variegata composizione che ha avvinto la folta platea di cittadini presenti. “Riprendiamo il filo”, dice la presidente di ‘Sacro e Profano’ Giovina Tomassi, “della diffusione della storia della Città, se c’è un difetto che si può imputare a noi teatini è l’esserci spesso adagiati, forse per ragioni di abbondanza, sulla presunta, ma di fatto scarsa, conoscenza di tanti aspetti i quali andrebbero meglio percepiti e valutati”. “Appuntamenti come questo”, aggiunge la professoressa Tomassi, “oltre a farci riflettere sulle nostre origini, rappresentano, nel caso di specie grazie alla disponibilità del giovane ricercatore e storico Marco Vaccaro, un ideale passaggio di quel testimone generazionale per fortuna radicatosi anche per merito di gente come don Claudio Pellegrini, parroco della SS Trinità e rettore di questa meravigliosa chiesa di San Domenico, capace di creare luoghi d’incontro”.
Ed allora vediamo qualcuno degli spunti offerti dai relatori. Marco Vaccaro, invitato anche quale membro del ‘Cenacolo Teatino’, sottolinea come “gli Scolopi fossero veri e propri professionisti della istruzione del XVII secolo, aiutavano negli studi i meno abbienti ed elessero Chieti come uno dei principali centri per porre in essere la loro opera pedagogica e questa chiesa non a caso risponde ad una concezione unitaria sia dal punto di vista squisitamente formativo che artistico”. L’attuale denominazione di San Domenico risale al 1913, allorquando, con l’abbattimento della originaria chiesa insistente sul sito dove contestualmente fu eretto il palazzo della Provincia e della Prefettura, venne deciso di dedicare ‘chiavi in mano’ al Santo predicatore Domenico di Guzman [1171-1221] la vicina chiesa di Sant’Anna. Gli Scolopi a Chieti seppero superare una marcata crisi che tra il 1640 ed il 1670 rischiò di far sparire l’Ordine. In particolare, nel capoluogo teatino i frati “docenti” e “questuanti”, che si mossero con garbata discrezione tra la presenza di altri Ordini come i francescani di S. Francesco alle Scale, i frati minori di San Giovanni Battista dei Cappuccini ed i frati zoccolanti di Sant’Andrea [plesso monastico poi modificato ed assorbito dall’ex Ospedale Militare, oggi sito della erigenda ‘Cittadella della Cultura’ alla Villa Comunale], dovettero affrontare anche i disagi economici rivenienti dal crollo, intorno al 1669, della volta della chiesa. E qui, l’apporto di mecenatismo delle famiglie benefattrici teatine si rivelò determinante. “Quello del sostegno economico assicurato dai casati più in vista allo sviluppo della Città ed alle opere pie, ma anche architettoniche riguardanti gli edifici di culto”, spiega don Claudio Pellegrini, “è una costante nella Chieti del XVII secolo, gli Scolopi, che si ispiravano alla grande missione educatrice di San Giuseppe Calasanzio, dopo Roma approdano a Chieti con il preciso intento di educare ed avviare agli studi i ‘figli del popolo’, ne consegue la costruzione di questa chiesa, dell’oratorio e del collegio annessi”. Claudio Pellegrini e Marco Vaccaro duettano con competente empatia tra le pieghe della storia e dell’inestimabile patrimonio di opere d’arte della chiesa di San Domenico, non senza ricordarne l’assetto urbanistico, una vera e propria grande ‘agorà’ su corso Marrucino, dando respiro agli edifici che affacciano su piazza Vico. Dai pregiati stucchi di Giovan Battista Gianni [uno dei principali artisti del settecento napoletano], e probabilmente dei suoi allievi Marco Marchi e Girolamo Rizza, dedicati oltre che a San Francesco di Paola [a sinistra dell’altare maggiore] ai mecenati Giovanni Tommaso Valignani e Francesco Vastavigna, i cui contributi e lasciti testamentari assicurarono come detto relativa tranquillità agli Scolopi per i raggiungimento dei fini ‘istituzionali’ dell’Ordine [una iscrizione ricorda, invece, il giureconsulto Giacomo Antonio Valletta che nel 1739 lasciò ai Padri “per offrire il comodo a chi studia” oltre 2000 volumi, ora facenti parte della ricca e pregiata biblioteca dell’attiguo Liceo G.B. Vico già sede del ‘collegio’ di Sant’Anna degli Scolopi]; agli ‘ovati’ attribuiti ad Andrea Miglionico ancora presenti nella ex cappella San Filippo Neri [altro monumentale ‘formatore’ di orfani e ragazzi poveri], oggi titolata a Santa Rita da Cascia.
Dalla tela del 1679 di Giacomo Farelli che ritrae la Madonna del Rosario con San Domenico e Santa Caterina da Siena, ai pregiati ‘ovati’, sempre insistenti nella stessa cappella [per la cronaca letteralmente ‘smontata’ dalla ‘vecchia’ chiesa di San Domenico e ricollocata, ‘scombinandone’ gli spazi, nella attuale chiesa], del pittore teatino Donato Teodoro [1699-1779]. Dalla pala di Giacinto Diano nella cappella di San Giuseppe Calasanzio [Spagna 1557-Roma 1648, fondatore degli Scolopi], definita dalla critica “la prima e la migliore delle opere abruzzesi del pittore napoletano”; a quella dell’altare maggiore [di Autore ignoto di probabile scuola romana, terzo quarto del 1600], imponente chiave di lettura della funzione educativa dei giovani che passa dall’imprimatur di Sant’Antonio, presente nella tela con San Francesco di Paola, Sant’Anna e la Vergine Maria col Bambino. Dalla cappella dedicata a San Pompilio Maria Pirrotti [Benevento 29 settembre 1710-Campi Salentina 15 luglio 1766, la tela del 1949 è di Tommaso Cascella], educatore e sacerdote che visse a Chieti per sei anni; al pulpito della cappella del Sacro Cuore di Gesù con “fucile e crocifisso” a ricordare un episodio della vita di San Luigi Bertrando [1526-1581], missionario domenicano e patrono della Colombia. Per concludere con le vicende a tratti tumultuose, di Angelo Morelli [Brandeglio 20 agosto 1608-Chieti 17 gennaio 1685], discepolo di San Giuseppe Calasanzio e poi decano dell’Ordine degli Scolopi, tacciato di ‘derive galileiane’ ed amico di Giovanni Alfonso Borelli [1608-1679], matematico, astronono e filosofo, del quale portò proprio a Chieti alcuni strumenti della sua collezione scientifica tra cui un raro esemplare di barometro [l’invenzione del barometro si deve ad Evangelista Torricelli nel 1643].
Tanto pregio, insomma, e tanto ancora da raccontare specie con riguardo alle opere ancora visibili nell’ex oratorio retrostante l’altare maggiore. Queste, insieme alle molte altre non esposte e custodite altrove, alcune delle quali già restaurate, dovrebbero far parte del Museo Diocesano, nato anni fa proprio a San Domenico ma in pratica solo sulla carta ed ora in predicato di una più adeguata declinazione nei locali del Seminario Diocesano in Piazza San Giustino. Tra le opere del Museo, ad oggi insistenti nella Chiesa di San Domenico, alcuni affreschi di fine 300 provenienti dal Campanile della Cattedrale, una tela di scuola veneziana avente per tema la Pentecoste ed una tela di Nicola Fornaro, del 1590, proveniente dall’ex convento di Sant’Andrea degli Zoccolanti.