Archeologia, scavi in Piazza San Giustino, l’ultima scoperta: porzioni murarie compatibili con la tipologia di un edificio sacro di epoca italico-repubblicana
Novità, forse clamorose, sul fronte scavi. In attesa di procedere con sondaggi sistematici nell’area antistante il palazzo comunale [i saggi preliminari hanno già restituito le fondamenta della fontana ottocentesca a suo tempo trasferita nella villa comunale], la Soprintendenza si dedica agli approfondimenti delle porzioni non interessate dal rinterro funzionale alla futura riqualificazione dell’intera piazza.
E proprio in uno di questi spaccati, veri e propri laboratori scientifici a cielo aperto, spuntano ora delle porzioni murarie compatibili con la tipologia di un edificio sacro di epoca italico-repubblicana. Da via degli Agostiniani non ancora pervengono comunicazioni e valutazioni. E, dunque, la cronaca e le congetture giornalistiche attendono le dovute conferme istituzionali. Ma la scoperta, dovuta anche all’allargamento per circa venti metri quadrati del saggio insistente fra palazzo Mezzanotte ed il Tribunale, inizialmente in parte ricondotto a vestigia medioevali [fortificazioni o cinta terrazzata], è di quelle destinate ad aprire nuovi scenari nella comprensione dell’intera spianata di Colle Gallo.
Già a dicembre, da queste colonne, si evidenziava la possibilità che piazza San Giustino rispondesse ad un irripetibile microcosmo di insediamenti caratterizzati da superfetazioni accavallatesi in diverse epoche, non escludendosi, per gli effetti, anche la presenza di un importante edificio sacro, a quota inferiore, rispetto ai già noti resti del tempio di Ercole sottostanti il battistero della cattedrale, dedicato a Diana. Ed il rinvenimento della stupenda testina della subito ribattezzata “Venere teatina” diede spunto a varie ipotesi storiche e mitologiche, oltrechè, ovviamente, strettamente scientifiche. Il dato emergente, fin dai primi vagiti quasi spontanei dei reperti affiorati a pochi centimetri dal piano di calpestio, fu che bisognava rivedere il perimetro dell’abitato romano, benchè illustri studiosi ed archeologi, come Vincenzo Zecca, avessero già a fine ottocento supposto che la zona, immediatamente a ridosso della prolifica, dal punto di vista archeologico, ex via Ulpia, ora Corso Marrucino, fosse da considerare importante sito di espansione suburbana della città antica.
Il professor Gabriele Obletter, nel 2010, riprendendo alcune intuizioni del De Laurentiis e del Cianfarani e citando un sistema di vasche rintracciate a margine delle fondazioni del palazzo di Giustizia, si spinse ad ipotizzare la presenza in loco di un secondo impianto termale romano, dato che quello insistente in Via della Terme romane, è da sempre apparso sottodimensionato rispetto alle esigenze dell’antica Teate.
Più di recente, i lettori ricorderanno l’acceso ed a tratti spigoloso confronto fra l’ente di tutela ed alcuni appassionati e cultori della storia cittadina [Marida De Menna-Teresio Cocco], in ordine alla datazione, alla natura ed alla funzione dei reperti emersi, fra cui il cunicolo che interseca il basamento del campanile, allo stato non ancora del tutto indagato anche se taluni elementi fanno supporre che in realtà trattasi di un varco d’accesso o porta di comunicazione fra gli ambienti ipogei [cisterne] che cingono l’intero perimetro del duomo. Frizioni, si rammenta per dovere di cronaca, anche riguardanti l’ambiente domestico, e relativo silos [o pozzo votivo?], antistante palazzo Mezzanotte.
Oggi è la volta, per l’appunto, dello spaccato in cui sono spuntate le mura che tanto farebbero pensare, tra l'altro, ad un’area sacra. Che si tratti di qualcosa di importante è dimostrato dall’accuratezza con la quale archeologi, architetti, assistenti scientifici e tecnici stanno setacciando lo scavo, preliminarmente oggetto di certosino studio stratigrafico dal quale sarebbero emersi indizi di una presenza addirittura marrucina. Comprensibile il riserbo per ora osservato dalla Soprintendenza, in attesa di poter disporre di elementi esaustivi di ricognizione e sintesi delle conoscenze su detti reperti. Da chiarire, infatti se in alternativa alla più qualificante e suggestiva ipotesi del tempio di “epoca baciata” [italico-repubblicana, dunque III-II secolo a.C., come i blocchi di pietra impiegati, simili ad alcuni tratti arcaici dei Tempietti Romani, farebbero supporre, nda], si debba invece parlare di reperti ad altra vocazione, pubblica o ricreativa, o di manufatto eretto in età postuma con materiali di reimpiego [ma sarebbe stato, all’epoca, uno sforzo tecnicamente poderoso e per alcuni tratti poco logico], a fini contenitivi della asperità del pendio che affaccia sulla vallata. Il tutto, altro elemento questo che complica la “lettura” del rinvenimento, da declinare nel contesto di un sistema organico di ricucitura e collegamento di quote altimetriche, stili architettonici ed indizi offerti dalla storia dell’arte, per non parlare di datazioni contraddistinte da non trascurabili excursus temporali, che si annunzia complesso ancorchè davvero stimolante per gli addetti ai lavori.
La città, tuttavia, si aspetta che le istituzioni, Soprintendenza e Comune, tornino a parlare e comunicare con la società civile, così come avevano puntualmente e costruttivamente fatto il 9 dicembre di quest’anno al museo Barbella, dando poi la stura alla dovuta attenzione della stampa. Ed anche dei social con vari contributi e spunti [fra cui gli interventi di Luciani, D’Agostino, Fagnano]. E spieghino se e come i nuovi assetti scientifici possano impattare sul progetto di riqualificazione di piazza San Giustino.