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Elezioni Regionali 2019

Riflessioni sul voto abruzzese del Partito Comunista: "Centrosinistra incapace di fare un'analisi seria"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di ChietiToday

Domenica 10 febbraio si sono svolte le elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale Abruzzese,
le prime elezioni dopo il 4 marzo 2018 che rappresentano, se pur a parole, una rivoluzione nella
politica italiana. Sostenuto dai media nazionali come il governo del cambiamento,.
Dal voto abruzzese, con le dovute specifiche di una Elezione Regionale, si ha un dato fortemente
preoccupante per la deriva che questo paese sta prendendo: una deriva reazionaria e fascista.
Dall’altra parte c’è la miopia politica di un centro sinistra incapace di fare un’analisi seria della
situazione e spaccia per vittoria una sconfitta pesantissima sul piano politico e organizzativo.
Il vero vincitore di questa sfida è senza dubbio Salvini che è stato capace, la scorsa estate, di fare
una “campagna acquisti” all’interno dei propri alleati storici che si è dimostrata proficua. Mettere
nelle proprie liste Sindaci di centro destra, alcuni dei quali provenienti per familiarità, da quel
sistema di potere democristiano che gestiva (nell’ombra) le aziende di Stato, svendute al grande
capitale per pochi soldi. Basti pensare ai rapporti familiari, del “nostro” candidato della Lega, con
un ex-sindaco e consigliere regionale del M.S.I., a dimostrazione che l’elettorato fascista da sempre
è il serbatoio di riserva per gli interessi del capitale. Infatti, buona parte del successo elettorale di
Salvini, circa 60.000 su 160.000 voti, viene da Forza Italia che ha un vero è proprio tracollo: meno
58.000 voti (7,66%) rispetto alle regionali del 2014 e meno 56.000 voti (5,49%) rispetto alle
politiche dello scorso anno.

Però è innegabile che Salvini abbia pescato voti sia all’interno del Movimento 5 Stelle che
all’interno di quell’elettorato di destra “confusionario” che nelle scorse politiche era rappresento da
quella miriade di partiti qualunquistici di noti esponenti cattolici integralisti e addirittura anche di
una azienda di telemarketing e di piccoli imprenditori.
I candidati Governatori in Abruzzo erano 4: Marsilio per il centro destra; Legnini per il centro
sinistra; Marcozzi per il Movimento 5 Stelle e Flajani per Casapaund, unica forza minore presente a
questa competizione.

Sulla presenza di Casapauond è bene fare una riflessione anche sul metodo di accesso per la
presentazione delle liste alla competizione elettorale. La legge elettorale abruzzese prevede la
raccolta di firme, per i partiti non presenti in parlamento, di 1.500 per ogni provincia e per essere
ammessi bisogna essere presenti in minimo 3 province su 4. Pertanto il minimo di raccolta firme è
di 4.500 per la presenza su 3 province e 6.000 per l’intero territorio regionale. Le liste di Casapound
erano presenti in tre province tranne che in quella di Pescara, il che presuppone una raccolta di
almeno 4.700/5.000 firme in tutto l’Abruzzo. Il dato strano è che Casapound raccoglie solo 2.560
voti, quasi la metà del numero delle firme necessarie per la presentazione delle liste, oltre ad avere
una consistente perdita di voti, oltre 5.000, rispetto alle scorse politiche del 4 marzo ’18.
Possibile che a nessun magistrato venga in mente di fare un minimo di indagine per verificare la
correttezza delle presentazioni delle liste?

Se il vero vincitore è Salvini, leader di quel partito che fino a qualche mese fa affermava che
l’Abruzzo era un “peso morto”, chi ha indubbiamente perso è in primo luogo il Movimento 5 Stelle.
Oltre a dimezzare i voti rispetto alle politiche del 2018, perde circa 23.000 voti rispetto alle scorse

Regionali, dimostrando lo scarso spessore politico del candidato Governatore Sara Marcozzi e di
tutto il gruppo dirigente Abruzzese del Movimento 5 Stelle, che a livello locale viene costantemente
penalizzato dagli elettori. Giudizio espresso anche da Di Maio, all’indomani delle elezioni, che ha
affermato che il M5S non deve presentarsi se non è pronto. Ma a questo punto sorge un quesito: con
quale metodo il M5S sceglie il suo quadro dirigente? È inverosimile che nessuno si renda conto
della pochezza politica della dirigenza abruzzese.

Altro sconfitto è il centro sinistra che oltre a perdere una Regione, come valore assoluto, perde una
buona consistenza del proprio elettorato: circa 130.000 voti (15.95%) rispetto alle scorse Regionali.
Tracollo dovuto soprattutto alla debacle del Partito Democratico che perde oltre 100.000 voti
(14.37%) rispetto alle Regionali del 2014 e quasi 42.000 voti (3.14%) rispetto alle Politiche dello
scorso anno. A questo punto sarebbe necessaria un’analisi completa, una vera e propria autocritica,
da parte del gruppo dirigente del PD sulle politiche fatte negli ultimi anni e la deriva liberista che ha
preso questo partito che si è trasformato nella fotocopia del centro destra.
È pur vero, però, che il centro sinistra, rispetto alle politiche passate, recupera circa 30.000 voti
(10.41%) dovuti senza dubbio alla figura di Giovanni Legnini che con la sua lista (Legnini
Presidente) raccoglie oltre 33.000 voti.

Giovanni Legnini è senza dubbio la più alta figura politica del centro sinistra abruzzese:
- Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’Editoria nel
Governo Letta;
- Sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze nel Governo Renzi, ha
esercitato, tra i vari incarichi, le deleghe alla ricostruzione e allo sviluppo della città de
L’Aquila e dei territori dell’Abruzzo colpiti dal sisma del 2009.
- Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, carica che ha mantenuto fino al
settembre del 2018.

Legnini, pur non appartenendo più al PD, ne condivide le scelte politiche e, nel suo programma,
individua nella linea economica avuta dai governi di centro sinistra, (sia a livello nazionale che
regionale) la panacea per la risoluzione dei problemi. Caratterialmente è un uomo pacato, di
indubbio valore morale. Viene dal gruppo dirigente del PCI berlingueriano e ne interpreta
perfettamente la figura: sempre disponibile al compromesso, capace di capire “l’onda vincente”, ma
essendo anche persona corretta ha richiamato su di se un elettorato che altrimenti non avrebbe
votato. L’errore di Legnini è stato senza dubbio nel non aver avuto il coraggio di sbarazzarsi di quei
personaggi opportunisti che lo hanno accompagnato in questa campagna elettorale, ne tantomeno di
imporsi sul PD verso una non ricandidatura di Silvio Paolucci, il “rottamatore” della Sanità
Pubblica Abruzzese e forse uno dei personaggi politici più odiati dai cittadini dell’Abruzzo. È anche
vero però che Paolucci capolista del PD raccoglie 4.500 voti (ne aveva ricevuto quasi 8.000 nella
scorsa tornata) di preferenza dimostrando che il PD della provincia di Chieti ha fatto quadrato
intorno al suo capolista difendendo posizioni indifendibili. Infatti il PD della Provincia di Chieti
perde 27.000 voti e quasi il 13% rispetto alle scorse regionali.
Giovanni Legnini, appartenente a quella sinistra radical-chic proveniente dagli anni ’70 e ’80 ha la
base del suo elettorato formata da un proletariato imborghesito e da quella parte di movimento
operaio (inquadrato nelle fila del sindacato e in modo particolare nella C.G.I.L.) a cui Lenin si
riferiva come pericolo e definito (dallo stesso Lenin) “aristocrazia operaia”. Si è presentato con un
progetto quasi innovativo, con una miriade di liste civiche a suo sostegno tra cui anche una dei

sindaci abruzzesi (151 Sindaci e 11 vicesindaci su 304 comuni, quindi più della metà) che avevano
firmato un appello a suo sostegno. Ma questa lista raccoglie a malapena poco più di 23.000 voti pari
al 3,86% e solo 1 Consigliere Regionale. Questo dato presuppone due opzioni: o i sindaci non
hanno, effettivamente, appoggiato Legnini, oppure il passaggio di consistenti amministrazioni di
centro sinistra verso il centro destra è imminente.
Il “progetto Legnini” così apprezzato dal centro sinistra e soprattutto dal PD è stato un vero e
proprio fallimento sul piano numerico. Le liste a sostegno di Legnini erano 8: 7 liste civiche o più
formazioni aggregate più la lista del PD. Di queste 8 liste solo tre hanno superato la soglia di
sbarramento del 3% penalizzando il centro sinistra in termini di seggi. Infatti il centro sinistra ha
solo 5 consiglieri regionali con il 30,63% mentre il Movimento 5 Stelle con il 19,73% dei voti
elegge 7 consiglieri regionali. Pertanto parlare di progetto su cui ricostruire il centro sinistra è
alquanto vacuo e fallimentare.
Altro dato da analizzare è l’aumento del numero degli astenuti, meno 102.578 (- 8,45%) rispetto
alle scorse Regionali e meno 143.246 (- 22,14%) rispetto alle Politiche del 4 marzo scorso. Il
numero di schede bianche e nulle diminuiscono sia rispetto alle Regionali, in modo più consistente:
– 1,95% di nulle e – 2,43% di bianche, che sulle Politiche, in modo quasi irrilevante: 0,21% nulle e
0,23% bianche. Da questo possiamo dedurre che oltre ad un elettorato che preferisce non recarsi
alle urne in maniera sempre più massiccia troviamo anche un elettorato che è deciso nelle proprie
scelte.

Chi non è stato rappresentato in questa competizione elettorale è stata la parte che si rifà
all’elettorato Comunista. Non erano presenti né il Partito Comunista né tantomeno Rifondazione
Comunista o PAP. L’impossibilità di accesso a questa competizione elettorale erano proibitivi per la
consistenza dei piccoli partiti.

Ma sicuramente gli elettori che rifiutano il voto sono principalmente elettori di sinistra e Comunisti,
con la divisione di queste forze e con la parola d’ordine del voto utile preferiscono rinunciare al loro
diritto/dovere non sentendosi rappresentato da nessuna forza in campo.

L’Abruzzo, però, non è quello che è uscito da questa competizione elettorale, non è l’Abruzzo di
Salvini che prende solo uno scarso 14% su tutto l’elettorato abruzzese, l’Abruzzo è una regione che
pur non essendo mai stata di sinistra (la DC ha sempre gravitato intorno al 50%) ha avuto i suoi
esempi “rivoluzionari” come con gli “scioperi a rovescio” negli anni ’50 dove ci furono diversi
morti tra le forze del proletariato. L’Abruzzo è quello che si ribella a Salvini quando viene nelle
nostre piazze a chiedere voti, l’Abruzzo è quello che si ribella a Di Maio quando capisce che le
posizioni del M5S sono solo propagandistiche.

L’Abruzzo ha figure, nell’area comunista, di valore che hanno però il bisogno di essere guidate
verso un percorso rivoluzionario. Il quale non può avere inclinazioni verso il parlamentarismo e, di
conseguenza, la compromissione con forze borghesi che non pongano nel loro programma politico
il rovesciamento di questo sistema e tantomeno verso il ribellismo capace di fare solo vittime.
Il Partito Comunista vuole porsi all’avanguardia di questo popolo che sconta tutti i problemi
derivanti da una crisi fatta pagare solo ai lavoratori, ai pensionati, alle classi più deboli. La crisi
economica che avvolge l’Abruzzo è crisi grave, tante la aziende che hanno preferito delocalizzare
nei Paesi dell’est le loro produzioni industriali dopo aver ricevuto forti incentivi e finanziamenti.
Tante le attività del piccolo commercio costrette a chiudere, strangolate dalla grande distribuzione.
Tanti gli artigiani che hanno dovuto chiudere le loro botteghe costretti a subire una tassazione
insopportabile. Mentre le storiche attività lavorative abruzzesi, quali la pastorizia, l’agricoltura e la

pesca rischiano di chiudere definitivamente se non si restituisce ai lavoratori di questi settori la
dignità che merita chi fa un lavoro pesante, rischioso, impegnativo.

Vogliamo rivolgerci a quei compagni onesti che intravedono in un sistema economico diverso, nel
socialismo, la soluzione dei problemi di disoccupazione, povertà, diritti sociali. La solidarietà di
classe deve essere il punto fondamentale di un progetto di rafforzamento della forza comunista, che
attraverso una campagna di organizzazione organica tra tutti, riesca a rovesciare il pensiero
dominante elaborato dalla borghesia e fatto come pensiero unico. Abituati a pensare e a ragionare
secondo il metro di giudizio stabilito dalla borghesia, come se non esistessero due classi quella degli
sfruttati (maggioritaria) e quella degli sfruttatori (minoranza).

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