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Il virus del Covid-19 si replica con difficoltà nei malati di fibrosi cistica: alla ricerca ha contribuito anche la d'Annunzio

Lo studio dell'università di Verona apre a nuove considerazioni, anche per quanto riguarda lo sviluppo di nuove strategie farmacologiche. Alla raccolta dei dati hanno contribuito i ricercatori dell'università di Chieti

La fibrosi cistica rappresenta la malattia genetica grave più diffusa in Italia con oltre 200 nuovi casi all’anno, causata dalla mutazione del gene Cftr (Cystic fibrosis transmembrane regulator), che colpisce soprattutto l’apparato respiratorio e digerente. In particolare, questa alterazione genetica determina una produzione di muco molto denso che ostruisce i bronchi e porta a infezioni respiratorie ripetute, fino a una progressiva insufficienza respiratoria.

Il particolare interessamento dell’apparato respiratorio, tipico della malattia, aveva fatto ipotizzare come i pazienti affetti dalla mutazione del gene Cftr potessero rappresentare un gruppo a più alto rischio di infezione da Sars-CoV-2.

Un recente studio dell’università di Verona, alla cui raccolta dei dati hanno contribuito anche ricercatori delle università di Bologna e di Chieti-Pescara, ha invece evidenziato come nelle cellule bronchiali di soggetti affetti da fibrosi cistica, la replicazione di Sars-CoV-2 sia significativamente ridotta aprendo così originali considerazioni nella comprensione dei meccanismi di infezione da Sars-CoV-2 e, in prospettiva, essere da base per lo sviluppo di nuove strategie farmacologiche.

I risultati dello studio, realizzato grazie al sostegno di Fondazione Cariverona (Progetto Enact) e con il contributo della Lega italiana fibrosi cistica onlus Veneto, sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica Cells in un articolo dal titolo “Cftr modulation reduces Sars-CoV-2 infection in human bronchial epithelial cells”. Del team di ricerca, guidato da Davide Gibellini, docente di Microbiologia e Microbiologia Clinica, nel dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica, in collaborazione con Claudio Sorio, docente di Patologia generale, e Andrea Sbarbati, docente di Anatomia e Istologia, fanno parte Virginia Lotti, Anna Lagni, Andrea Di Clemente, Marco Ligozzi, Flavia Merigo e Paolo Bernardi, con il contributo scientifico di Ercole Concia, già docente di ateneo.

Il gruppo di ricerca dell’università di Verona ha studiato diversi modelli di cellule epiteliali bronchiali con e senza mutazioni del gene Cftr, individuando una significativa riduzione della replicazione del virus Sars-CoV-2 nelle cellule che presentavano Cftr mutato. "Il meccanismo alla base di questo fenomeno è ancora da chiarire nei suoi dettagli – spiegano i ricercatori – ma l’ipotesi attuale è che uno dei fattori determinanti possa risiedere nell’alterazione degli equilibri ionici e molecolari intracellulari, inducendo una significativa minore efficienza nella replicazione del virus".

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