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Scrittura e immagine Chieti Film Festival: i film di giovedì 7 novembre

Omaggio a Edith Piaf con "La vie en rose" e presentazione del libro, inedito in Italia, "Piaf, un mythe francais"

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di ChietiToday

Una programmazione da non perdere quella di giovedì 7 novembre per la penultima giornata del 23° Festival Internazionale Cinematografico "Scrittura e Immagine Chieti Film Festival" al Supercinema, in attesa di incontrare Alessandro Siani che verrà a chiudere con ironia e simpatia il Festival venerdì 8 novembre.

Si comincia alle ore 15,30 con il documentario "Vado a scuola" di Pascal Plisson: dalla savana del Kenia ai sentieri che solcano la catena dell'Atlante in Marocco; dall'altopiano della Patagonia al calore dell'India meridionale seguiamo Jackson, Zahira, Carlito e Samuel, quattro bambini con il desiderio di imparare. Per soddisfare questo desiderio (e come milioni di loro coetanei nel mondo) affrontano, nella maggioranza dei casi quotidianamente, percorsi lunghissimi e spesso pericolosi. Ognuno di loro ha un sogno di emancipazione che nessun ostacolo può frenare Jackson 10 anni, percorre, mattina e sera con la sorellina, quindici chilometri in mezzo alla savana e agli animali selvaggi; Zahira 11 anni, che percorre una giornata di faticoso cammino per raggiungere la scuola in cui resterà per la settimana, con le sue due amiche. Samuel, 11 anni, ogni giorno viaggia in India per otto chilometri, anche se non ha l'uso delle gambe, spinto nella sua carrozzina dai due fratelli minori e Carlito, 11 anni, attraversa le pianure della Patagonia per oltre venticinque chilometri, portando con sè la sua sorellina. Potrebbero essere sufficienti le informazioni di cui sopra per fare emergere l'interesse che un documentario come questo dovrebbe suscitare in chi ha a cuore la crescita dei nostri giovani. Perché non c'è nulla di meglio che vedere le difficoltà che questi bambini e bambine debbono superare per andare a ricevere un'istruzione, per far comprendere quanto sia sbagliato l'atteggiamento non tanto di rifiuto nei confronti di questo o quell'elemento della scuola, quanto, piuttosto, quello dell'annoiata indifferenza.

Si prosegue alle ore 17,00 con un omaggio ad Edith Piaf con la proiezione di "La Vie en Rose" di Olivier Dahan: la pellicola, ambientata in Francia e a Praga, ripercorre i drammi e le gioie di una delle leggende della canzone francese e internazionale, Edith Piaf. Nata nei sobborghi parigini, la diva diventa famosissima fin da giovane. La sua voce, caratterizzata da mille sfumature, era in grado di passare da toni aspri a toni dolcissimi. Molte le sfortune e i fatti negativi: incidenti stradali, coma epatici, interventi chirurgici, delirium tremens e anche un tentativo di suicidio. La pellicola di Dahan ricostruisce bene una delle sue ultime apparizioni pubbliche in cui appare piccola e ricurva, con le mani deformate dall'artrite e con radi capelli. Solo una cosa era rimasta inalterata e splendida: la sua voce. Il fatto che il regista abbia preso come spunto iniziale per il film una fotografia della cantante e non la sua musica non ci sorprende affatto. Conferma, anzi, il taglio pienamente cinematografico dell'opera. Partire da questo punto è sinonimo di un omaggio che rifiuta il didascalismo e una ricostruzione strettamente biopic. Il termine corretto è ritratto che, oltre a esaltare il talento artistico della Piaf, si addentra nel cuore della sua complessa umanità. Il regista, pur documentandosi a lungo, ha preferito seguire le proprie idee senza farsi influenzare da qualcuno in particolare (amici, conoscenti) o da letture intraprese. Prima della proiezione Gianpiero Consoli, docente di 'Storia del Cinema' all'Università di Chieti presenterà il libro dedicato alla diva d'Oltralpe "Piaf, un mythe francais", inedito in Italia, in cui vengono svelati particolari ignoti della sua vita come i rapporti con noti esponenti nazisti etc.

Alle ore 20,00 è la volta della commedia francese di Pascal Chaumeil "Un piano perfetto": una maledizione perseguita le donne di casa Lefebvre: il loro primo matrimonio è destinato a finire male. Ecco allora che la bella Isabelle in un recente passato ha deciso, con la collaborazione della sorella, di mettere in atto un piano audace: attaccarsi alle costole di un uomo privo di attrattive, farsi sposare e divorziare subito dopo per convolare a seconde nozze con l'amore della sua vita. Peccato però che la sua preda sia Jean-Yves Berthier, redattore di guide turistiche, che la trascinerà prima in Africa e poi in Russia. Ma Isabelle, nonostante tutto, sembra decisa a non mollare.

Infine alle ore 22,00 "Infanzia clandestina" di Benjamin Avila: Juan ha dodici anni e ha condotto una parte della sua vita in esilio. Nel 1979 torna, con i genitori e la sorellina di un anno, nel suo paese, l'Argentina. Il ragazzino è stato costretto a vivere lontano da casa per la condizione di clandestinità dei genitori, guerriglieri peronisti dell'organizzazione dei Montoneros, oppositori della dittatura militare di Videla, che ha rovesciato con un golpe il governo Peron nel 1976. Il padre e la madre di Juan sono adesso convinti che sia giunto il momento di alzare il tiro e portare la resistenza nel cuore dell'Argentina. Il ritorno in patria è, però, rischioso: sono latitanti ricercati dalle autorità e devono, quindi, vivere nascosti, sotto falsa identità. Anche Juan ha un nuovo nome. Per i suoi compagni di scuola e per la ragazzina di cui si innamorerà, si chiamerà Ernesto, come il Che.
È un'infanzia rubata quella raccontata dal regista argentino Benjamín Ávila nel suo primo lungometraggio. Una condizione che ha il preziosissimo valore della testimonianza. La sconvolgente storia del dodicenne Juan si basa, infatti, su eventi realmente accaduti al regista da piccolo. Già questo basterebbe a rendere Infanzia Clandestina un film necessario. Di opere sull'eroismo della resistenza contro le dittature nel mondo ne abbiamo viste tante, ma l'originalità di questo film sta nel diverso punto di vista, che ci permette di osservare il microcosmo partigiano dall'interno, senza filtri, se non quello di un bambino che partecipa alla resistenza scrutandola dal punto di osservazione privilegiato della propria età. E così la mette a nudo, svelandone in maniera impietosa le contraddizioni e le assurdità. Lo sguardo indagatore di Juan, che è lo sguardo bambino del regista, non condanna, ma neppure assolve. Non ci suggerisce cosa è giusto o sbagliato, perché nelle guerre - clandestine o ufficiali che siano - non può esserci giustizia. Nell'Argentina di fine anni Settanta, da una parte ci sono interessi, dall'altra convinzioni. Eppure, anche queste possono condurre sul terreno minato dell'insensatezza.

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