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Cronaca

Truffa piramidale in criptovaluta, ci sono anche abruzzesi fra gli indagati: 31 gli investimenti ritenuti fraudolenti

L'operazione della guardia di finanza di Trento ha smantellato un presunto sodalizio criminoso e ha portato alla denuncia di 8 persone, di cui un pescarese e 4 aquilani

Tocca anche l'Abruzzo l'operazione della guardia di finanza di Trento che ha portato alla denuncia di 8 persone, di cui un pescarese e 4 aquilani. Secondo la ricostruzione delle Fiamme gialle, farebbero parte di un sodalizio criminoso operativo in Trentino Alto Adige che aveva messo a punto una truffa piramidale in criptovaluta. Gli 8 denunciati devono rispondere di associazione per delinquere, truffa aggravata, abusivismo finanziario, illecita raccolta del risparmio, falso in bilancio e bancarotta fraudolenta.

Il capo dell'organizzazione è ritenuto un imprenditore della provincia di Trento, finito in carcere, che sarebbe stato amministratore di fatto o di diritti, tramite teste di legno, di un consorzio mondiale di società operanti nel settore finanziario, con sede in vari Paesi e uffici operativi anche a Scurcola Marsicana (L'Aquila).

Le indagini sono scaturite dall'analisi e approfondimento di oltre cento segnalazioni di operazioni sospette e sono state sviluppate anche attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali. I finanzieri hanno rivolto la propria attenzione in particolare ad una srl con sede legale a Milano, ma operativa a Trento, che a partire dal 2016 ha raccolto da oltre 1.000 investitori residenti in tutta Italia (227 in Trentino Alto Adige, 76 nel Lazio, 58 in Lombardia, 57 in Toscana, 43 in Veneto, 38 in Piemonte, 35 in Emilia Romagna, 31 in Abruzzo, 144 tra Friuli, Liguria, Marche, Umbria, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) ma anche che all'estero (380 tra Svizzera, Austria e Germania), oltre 2 milioni e 200mila euro, proponendo un finto progetto finanziario consistente nel "minare" una criptovaluta attraverso l'acquisto di server utili alla coniazione della criptomoneta, il cosiddetto mining.

Agli ignari investitori veniva proposto l'acquisto di server in comproprietà, attraverso il pagamento di 200 euro più Iva (totale 244 euro) per ogni quota, con la promessa che tale "investimento", avrebbe reso fino a dieci volte il suo valore iniziale, a seguito di quello che il network societario avrebbe incassato, grazie all'incentivazione dell'uso della criptomoneta che lo stesso network avrebbe garantito per mezzo dei numerosi partner e collaboratori a livello internazionale e al risparmio sui costi energetici che una presunta innovativa tecnologia in possesso del gruppo societario avrebbe potuto permettere.

Per invogliare gli investitori ad entrare a far parte del progetto, venivano inoltre illustrate le ideali prospettive di guadagno del proprio investimento, connesse oltre che all'incremento di valore della criptovaluta, a "bonus" attribuiti per premiare l'ingresso di tutti i nuovi clienti che ogni singolo investitore sarebbe riuscito ad associare al network. Inoltre, agli investitori veniva (falsamente) prospettato che tutti i loro investimenti erano garantiti da bond emessi dal gruppo societario internazionale di riferimento.

Un altro aquilano è stato sottoposto all'obbligo di dimora nell'ambito di un'indagine parallela, nel corso del quale i finanzieri hanno individuato quello che è ritenuto un secondo sodalizio criminoso, operativo nel Lazio ed in contatto col gruppo trentino, che a sua volta, attraverso la redazione di un falso contratto commerciale tra una Srls di Cerveteri nella veste di creditrice e una società tedesca nella veste di debitrice, e grazie ad una intromissione operata da hacker stranieri nei circuiti telematici di pagamento, aveva inserito nell'home banking del conto corrente societario della società ceretana un falso mandato di pagamento elettronico pari a 1 milione e 250mila euro.

Gli hacker, infatti, inserendosi nelle comunicazioni informatiche tra i server delle banche del creditore e del debitore, davano conferma positiva all'istituto di credito ceretano del deposito del contratto commerciale e dell'esistenza del relativo mandato di pagamento a favore della società italiana. Ciò, traeva in inganno i dipendenti della filiale di Cerveteri dell'istituto di credito nel quale era stato aperto il rapporto di conto della Srls i quali, credendo che a breve sarebbe arrivata la provvista dal cliente tedesco, concedevano un anticipo di pari importo alla società italiana.

Successivamente i cinque indagati, due romani, un veneziano, un cosentino e un aquilano, autoriciclavano il denaro sottratto alla banca, per poi impiegarlo in altre attività economiche, finanziarie ed imprenditoriali attraverso una società croata controllata dal sodalizio. I cinque componenti del sodalizio, per i reati di associazione per delinquere, frode informatica, truffa e auto riciclaggio, sono stati tutti destinatari di una ordinanza cautelare che ha disposto la custodia in carcere del romano, gli arresti domiciliari nei confronti di un altro romano, di un veneziano e di un cosentino, e l'obbligo di dimora nei confronti dell'aquilano.

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