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Cronaca

Paola Turci sceglie Chieti per presentare il tour nei teatri - L'INTERVISTA

La cantautrice romana domenica sera al teatro Supercinema per la data zero del suo tour ‘Io sono’. L’abbiamo incontrata a poche ore dal concerto per farci raccontare le atmosfere dello spettacolo e conoscere meglio un'artista dalla carriera trentennale

Paola Turci è come te la immagini: una persona disponibile, aperta e di una sincerità disarmante. Capace di condurti in punta di piedi nel suo mondo in soli cinque minuti di conversazione e farti pentire di non averla seguita abbastanza negli ultimi anni. L’abbiamo incontrata al Supercinema di Chieti, a poche ore dalla data zero del suo tour che dal 3 dicembre la porterà nei teatri italiani per presentare l’ultimo disco “Io sono”, un album di inediti e brani di sempre rivisitati in chiave acustica ed elettronica.

Ormai viene spesso in Abruzzo, stavolta come è stata l’accoglienza?
Noi siamo partiti con il tour estivo proprio da Lanciano: una serata organizzata da Gianni Zulli e Annalisa Zanierato, che conosco da anni, persone che fanno queste cose con amore... e c’è una grande differenza tra persone che fanno un lavoro per interesse e persone che lo fanno per amore. Sono stata molto fortunata a trovare una dimensione ideale per me. L’ho trovata qui in Abruzzo, nella partenza del tour estivo. Quando si è organizzato questo tour nei teatri loro si sono proposti per fare la data zero e hanno scelto Chieti. Sono arrivata da due ore in questa città e già sono pervasa dalla bellezza e dal piacere: siamo stati accolti con grande affetto e con grande cura. 

Il nuovo disco, “Io sono”, arriva dopo il libro autobiografico “Mi amerò lo stesso”. Raccontarsi in un modo così profondo per un'artista, dopo tanti anni di carriera, nasce più da un’esigenza personale o è piuttosto un assecondare in qualche modo una richiesta indiretta del pubblico? 
E’ assolutamente una necessità personale, non una risposta al pubblico. Non è neanche un mio vezzo, ma proprio il bisogno di fare questo percorso terapeutico che mi ha portata a liberarmi da certi fantasmi. Mostrare la mia debolezza, un po’ come diceva Pasolini, è un atto di grande forza. La debolezza di mostrare le mie parti più vulnerabili, quelle sbagliate, quelle incidentate. Il libro l’ho scritto perché avevo bisogno di smascherarmi, di togliere quel velo che avevo messo sopra le cose per nascondermi agli altri. L’album è nato quando stavo dando alle stampe “Mi amerò lo stesso”. Poi Francesco Bianconi (il cantante dei Baustelle, ndr)  mi ha fatto sentire ‘Io sono’, che era un po’ diversa, si intitolava ‘Io non sono’ ed è arrivata in un momento fortemente autobiografico: ho chiesto di apportare delle modifiche e lui lo ha fatto con piacere. E quindi sono riuscita a fare anche nella musica qualcosa di autobiografico.

La sua è una carriera trentennale e lei ha ancora molti anni di musica davanti (qui interviene Paola: “Se continui a darmi del lei sento che è ancora più trentennale”). Qual è il segreto per rimanere nel cuore dopo tutto questo tempo? Rispetto ad altri cantanti, il nome Paola Turci suona più familiare di un altro. E’ una sensazione che si prova con pochi altri artisti.
Questa cosa la vedo come un grande complimento. Non è la prima volta che mi viene detta, pur convivendo con un’autocritica ferocissima con me stessa. Credo che l’avere un rapporto con te stesso sia un continuo investimento, forse la gente mi riconosce per questo. Io sento che la gente ha rispetto per me, non mi prende in giro. Ogni volta che incontro qualcuno avverto sempre un moto di stima e di affetto. Nella mia vita mi sono criticata molto, ho avuto una famiglia che mi ha criticata molto fin da quando ho cominciato ad andare in televisione. E’ stato durissimo però mi è servito. E oggi raccolgo dei piccoli frutti che per me sono enormi. E’ bellissimo sentirmi coinvolta nella vita delle persone perché sento di esserci entrata in modo piacevole. Senza fare nomi, ho assistito a scene di alcuni miei colleghi insultati e ridicolizzati. E’ una cosa bella pesante, che io non avrei sopportato. 

Parliamo di solidarietà visto che tra l’altro la sera del concerto a Chieti ci sarà un aperitivo di beneficenza. Tu da tempo sei impegnata nel sociale, in particolare con la Fondazione Rava. Quali sono i tuoi prossimi impegni? 
Intanto a me il termine beneficenza sta un po’ stretto: preferisco parlare di considerazione, attenzione, pensare di essere in un mondo insieme agli altri. A volte sono andata a cercare delle opportunità: suonare nelle carceri, negli ospedali e l’ho sempre fatto con grande spirito di condivisione. Quando fai qualcosa che pensi sia per gli altri quello è un atto di condivisione perché una cosa non arriva mai da una sola parte. Ad aprile 2016 torneremo ad Haiti con Paolo Fresu e la fondazione Rava: faremo un concerto in uno slam, una specie di campo profughi dove abita la miseria più nera, quella che noi non abbiamo mai visto. Perché la povertà è una cosa, la miseria un’altra. Saremmo dovuti partire a novembre, ma non è stato possibile perché la situazione politica lì ora è durissima.

Alla vigilia del tour ‘Io sono’, invece, quali sono le aspettative, i desideri e le ansie, ammesso che ci siano?
Cerco di non avere aspettative perché non fa mai bene averne. Parto da zero, ma ho fatto le prove – sorride – e questo mi fa pensare che c’è la possibilità di fare una bellissima serata e creare una bella atmosfera. E’ un concerto fatto di ascolto, è ipnotico, allegro, riflessivo. A tratti cerco di renderlo coinvolgente, emozionante. Mi piacerebbe molto che arrivasse quello che voglio io. L’ho fatto veramente sulla misura delle mie emozioni, togliendo quello che mi annoiava di più. Ogni canzone ha un suo perché, un suo peso e anche una sua leggerezza. C’è leggerezza e c’è pesantezza. Il concerto è molto legato alle atmosfere del disco che ho fatto e c’è molta dimensione acustico-elettronica.

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