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Web sotto accusa dopo l'omicidio D'Elisa: "Frutto di una campagna d'odio"

Anche il procuratore Di Florio ha detto basta a "commenti spregiudicati", dicendosi "stufo di queste comunicazioni in rete dove cova l'odio". Pochi mesi fa battibecco a distanza tra gli avvocati della famiglia Smargiassi e quello del giovane ucciso ieri

Qualche giorno prima dello scorso Natale, sulla stampa locale si era accesa una battaglia a suon di comunicati stampa tra gli avvocati delle due parti. A conclusione delle indagini Pompeo Del Re, che assisteva D'Elisa, aveva diffuso una dichiarazione che attenuava in qualche maniera la posizione del giovane, specicifando che questi non fosse un pirata della strada, ma che anzi "subito dopo il sinistro, pur essendo anch’egli ferito e gravemente scosso, non ha omesso soccorso, ma ha immediatamente allertato le autorità competenti e chiesto l’intervento del personale medico-sanitario”. Inoltre, la notte dell'incidente, dalle analisi non era stato riscontrata l'assunzione di alcolici o stupefacenti.

La famiglia di Roberta Smargiassi, sempre tramite gli avvocati, aveva replicato a mezzo stampa precisando che, secondo quanto ricostruito dalle indagini, "le responsabilità dell’accaduto sono chiaramente ed unicamente riconducibili all’indagato" e lamentando che né il giovane investitore, né la sua famiglia avevano mai cercato di contattare i congiunti della giovane scomparsa per manifestare cordoglio o dispiacere per l'incidente.

Un concetto ribadito oggi (giovedì 1° febbraio), ai microfoni di radio Capital, dall'avvocato Giovanni Cerella, difensore di Fabio Di Lello. "Italo D'Elisa, dopo aver ucciso Roberta, nell'incidente - ha detto - non ha mai chiesto scusa, non ha mostrato segni di pentimento. Anzi, era strafottente con la moto. Dava fastidio al marito di Roberta. Quando lo incontrava, accelerava sotto i suoi occhi. D'Elisa - ha aggiunto l'avvocato - tre mesi dopo l'incidente aveva ottenuto il permesso per poter tornare a guidare la moto, perché gli serviva per andare a lavorare".

Quanto al suo assistito, Cerella ha raccontato: "Fabio era sotto shock, era depresso per la perdita della moglie, andava molto spesso al cimitero, pensava giustizia non fosse stata fatta, ma incontrandolo non ho mai avuto l'impressione che stesse ipotizzando una vendetta. Sono rimasto sbalordito quando ho saputo. Lui non aveva dimestichezza con le armi". La pistola calibro 9 con cui ha sparato, secondo le ultime indiscrezioni, era regolarmente detenuta.

Di tutt'altro avviso l'avvocato Del Re, secondo cui il sanguinoso epilogo di questa vicenda sarebbe frutto di "una campagna di odio da parte dei famigliari di questa ragazza che è stata coinvolta in questo terribile incidente che purtroppo ha portato a questo risultato. Ora ne vediamo le conseguenze. Vedevamo manifesti dappertutto. Continui incitamenti anche su Internet a fare giustizia, a fare giustizia. Alla fine c'è stato chi l'ha fatta. Si è fatto giustizia da sé. Tra l'altro dopo tempo, quindi una premeditazione".

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