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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

Licenziato perché ha un tumore, il giudice non lo fa lavorare

Pierpaolo Mantini, 37 anni, dopo la chiusura della cartiera Burgo non è stato tenuto in considerazione per il ricollocamento come i suoi colleghi. Impugnato il licenziamento, il tribunale ha stabilito che la sua malattia non avrebbe causato un aggravamento

La sua battaglia contro il cancro è iniziata nel 2005, risolvendosi positivamente. Ma oggi Pierpaolo Mantini, teatino, 37 anni, ha una guerra forse ancora più dura da combattere: quella contro il diritto al lavoro che gli viene negato da tempo, anche con la certificazione di un giudice in primo grado.

“Il giudice – racconta – ha rigettato la mia istanza poiché ritiene che la mia patologia non abbia presentato un aggravamento psico-fisico, l’istanza è stata rigettata. Dovevo forse morire per poter lavorare?”. La voglia di scherzare non gli manca, nonostante l’odissea in cui si ritrova, suo malgrado, da un decennio.

È il 1998 quando Mantini viene assunto dalla Burgo spa e prende servizio nella cartiera di via Piaggio. Nel 2005, però, scopre di avere un grave carcinoma con metastasi. Un dramma che combatte con tutte le sue forze, spostandosi a Milano per le cure, affrontando durissimi cicli di chemioterapia che lo debilitano. Alla fine, arriva una luce in fondo al tunnel: Pierpaolo sta meglio, deve essere costantemente controllato dai medici, ma può tornare alla vita di prima, pur con un’invalidità rilevante. Elemento confermato da un documento che il primario dell’Oncologia del Santissima Annunziata scrive ai vertici aziendale: “Scrisse che, vista la giovane età, dovevo tornare alla vita di prima. Ma è successo l’esatto opposto”.

Dopo poco più di un anno dalla scoperta della malattia, il giovane torna al lavoro. Ma nulla è più come prima. “Per loro – si sfoga - non ero più un operaio modello, ma una persona sgradita. E sono iniziati una serie di atti vessatori”.

Prima lo hanno inserito in una postazione incompatibile con la sua condizione, che non gli consentiva di lavorare in ambienti polverosi e ad alte temperature. Alle sue lamentele, ricorda, per un periodo è stato messo in stand-by. “Buttato in un angoletto – lamenta – senza poter svolgere nessuna mansione”.

A questo periodo di fermo, segue un altro incubo: “Davanti al forno a 50 gradi, a tre turni di ciclo continuo da solo – ricorda Mantini – oppure a sollevare grosse bobine di carta molto pesanti”. La situazione va avanti finché non inizia la discesa della Burgo, che ha portato la società a chiudere i battenti della sede teatina.

“Ma – prosegue il racconto – mentre agli altri operai è stato proposto il ricollocamento in altre sedi, io sono stato licenziato”. Un finale amaro, mal digerito da un giovane che era disposto persino a trasferirsi, pur di continuare a lavorare nella società alle cui dipendenze era da più di 10 anni.

A quel punto, assistito dall’avvocato Domenico Budini, ha impugnato il licenziamento, per dimostrare di essere stato discriminato a causa della sua malattia. “Abbiamo mandato la documentazione medico-sanitaria di 4 aziende diverse – dice – eppure quel che ha deciso il giudice lascia sgomenti”.

L’istanza, infatti, è stata rigettata, perché, secondo quanto ricostruito dal tribunale del lavoro, la patologia di Mantini non avrebbe causato un aggravamento psico-fisico. “Allora – incalza – chiedo di sapere qual è l’aggravamento che questo giudice si aspettava. Considerato che ho subito un’operazione chirurgica e sono stato sottoposto a chemioterapia, l’unico aggravamento possibile a un tumore maligno è passar a miglior vita”.

All’inizio, Pierpaolo Mantini non voleva diffondere la sua storia. Poi ha deciso di farlo per sensibilizzare un numero ampio di persone. “Non solo chiedo al Comune di fare un regolamento che difenda le persone, come quello fatto per gli animali. Ma ho intenzione di fare una class action contro l’abuso di potere della magistratura, che a volte non tutela le categorie più in difficoltà”. 

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