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8 marzo, Fortunato (Capanna di Betlemme): "Non giorno glorioso e di vittoria, siamo sempre più immersi nella cultura della violenza"

Il responsabile della struttura dell'associazione Papa Giovanni XXIII fa il punto su quanto ancora c'è da fare per combattere la violenza di genere

È lo sfogo di chi ha dedicato la sua vita e il suo lavoro ad aiutare le persone in difficoltà, affrontando emergenze di ogni genere, non ultima quella della violenza di genere. Così Luca Fortunato, responsabile della Capanna di Betlemme di Chieti dell'associazione Papa Giovanni XXIII, scrive una lettera aperta in occasione della giornata internazionale della donna che ricorre domani (martedì 8 marzo). 

"Da oltre quindici anni - racconta - mi occupo di accoglienza: dai senza fissa dimora ai papà separati, dalle persone con disabilità a quelle con disagio socio-economico; tuttavia, ho sempre riservato un carattere di precedenza a donne e minori vittime di violenza. Ciò mi ha permesso di osservare da vicino l’aumento progressivo di tale fenomeno, che definirei senza troppi indugi 'violenza di genere' per la percentuale schiacciante di vittime donne. Il tutto, aggravato dalla pandemia, ha portato ad un maggior interessamento non solo da parte dei media, bensì anche dello Stato stesso (attraverso l’attivazione del Codice rosso o del Reddito di Libertà), aspetti che però non sono scaturiti in un reale miglioramento della condizione della donna maltrattata".

Fortunato spiega che, in tutti i casi di cui si è occupato nella sua lunga esperienza, "è la donna stessa assieme ai minori a lasciare la casa, senza tutele (di arresto o allontanamento del coniuge) e vittima di nuovo di un sistema distorto e inverso, che la costringe a stravolgere la sua vita sociale, mascherando la negazione di uno dei diritti fondamentali dell’uomo (la libertà) con la parola 'sicurezza'. Queste donne e questi bambini vivono perciò una doppia punizione senza colpa, costretti a rinunciare persino alla scuola, al lavoro, alle amicizie, a qualunque forma di svago e serenità. Non mi sento, alla vigilia della Festa della Donna, di celebrarla come giorno glorioso e di vittoria; mi sento piuttosto di riflettere su come siamo immersi sempre più profondamente in una cultura della violenza", evidenzia.

"La parola cultura - prosegue la riflessione - assume infatti per me un ruolo di centrale importanza, in quanto ad oggi risultano pressoché inesistenti i fondi e le azioni necessari alla prevenzione della violenza proprio attraverso la scuola, lo studio, la formazione, la sensibilizzazione. Sarebbe sufficiente lavorare preventivamente nelle scuole, a partire dalle primarie, attraverso l’inserimento sistematico di questo tema nell’ambito dell’educazione civica, per far diventare l’argomento oggetto di discussioni 'ordinarie', e non 'straordinarie'; per cautelarsi dal pericolo, per educarsi alla non violenza, per imparare a risolvere i conflitti attraverso mediazione e dialogo, per costruirsi un sano concetto di 'relazione' e non aspettare di indignarsi con l’ennesimo articolo sul femminicidio. Ritengo che con un lavoro di questo tipo, in dieci anni osserveremmo una riduzione netta della violenza di genere, avendo imparato anzitutto noi a riconoscerla già dai primi segnali, e avendo insegnato ai nostri giovani e giovanissimi a saper fare altrettanto".

"Il mio augurio per questo 8 marzo non è un 'buona festa' - conclude fortunato - ma un 'buona sfida': perché possiamo convincerci a lavorare affinché questa pianta velenosa venga estirpata dalla radice".

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