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Economia

Sixty: cassa integrazione in scadenza e marchi delocalizzati

Il 10 ottobre scadono gli ammortizzatori sociali e 263 lavoratori saranno disoccupati. Si confida nella ricollocazione ad opera della Regione, ma i sindacati denunciano il disinteresse dell'azienda, che produce Murphy&Nye in Veneto e Miss Sixty in Cina

Ammortizzatori sociali in scadenza, 263 persone il cui destino è appeso a un filo, con la cessione o la delocalizzazione dei marchi più venduti del gruppo. È nero il futuro di Sixty, vertenza lunghissima e sfiancante, per cui si cerca un esito positivo.

Perché dopo l’ok al concordato preventivo, con la salvezza dell’azienda, il riavvio delle attività con la newco Sixty Distribution che ha assunto 50 lavoratori, la proprietà sembrerebbe non rispettare l’accordo sindacale firmato oltre un anno fa. Accordo che prevedeva una newco (la +39) in cui impiegare fino a un massimo di 70 dipendenti. Oggi, però, ce ne sono soltanto 8. Mentre il marchio più venduto, la Refrigiwear da 16mila capi, è stato ceduto. E la produzione di Murphy&Nye è stata quasi interamente spostata in Veneto, a Padova, perché – stando a quanto denunciano indignati i sindacati – per l’amministratore non ci sarebbero in Abruzzo professionalità adatte. Un oltraggio per chi ha dedicato anni di professionalità e talento alla Sixty, a cui si aggiunge la ferita più grande: Miss Sixty, oggi, è interamente prodotta in Cina.

Il punto della situazione è stato tracciato ieri (mercoledì 10 settembre) in conferenza stampa da Giuseppe Rucci (Filctem Cgil), Ettore Di Natale (Felca Cisl) e Maurizio Sacchetta (Uiltec Uil), sin dai primi scossoni del gruppo al lavoro per garantire un buon esito agli oltre 300 lavoratori.

Eppure, denunciano, “l’azienda non ha presentato alcun piano industriale e non dà garanzie per il futuro”. Il prossimo incontro al ministero dello Sviluppo economico è fissato per il 29 settembre; entro quella data il sottosegretario Giovanni Legnini e il vice presidente della Regione Giovanni Lolli hanno chiesto di incontrare la proprietà cinese. Incontro che sembra irrealizzabile.

Se nulla cambia, la Regione – che per la prima volta lo scorso 5 settembre ha partecipato ad un tavolo – dovrebbe occuparsi della ricollocazione dei 263, disoccupati dal prossimo 11 ottobre, magari tramite i poli di innovazione.

Perché il tessile, in Abruzzo, non è per nulla morto: rappresenta da solo il 16% del settore manifatturiero regionale. Eppure la Sixty sta affondando con il carico di storia, professionalità, drammi personali di chi, passati i 40 anni, si ritrova senza lavoro, con competenze specifiche difficili da spendere.

“La fine della Sixty – si sfoga Marino D’Andrea, rsu Cgil – non è legato alla crisi economica. È iniziato tutto nel 2006, quando noi dipendenti abbiamo avuto per la prima volta il sentore che qualcosa non andasse. Ci sono stati 8 anni di tempo per risolvere la situazione, ma adesso siamo di fronte ad un’agonia silenziosa”. La delusione è molta, anche dei pochi lavoratori rimasti in prima linea nella battaglia. Ma la voglia di chiarezza è tanta. Al punto che a giorni sarà consegnato ai giudici di Perugia e Taranto l’esposto presentato negli ultimi mesi del 2011 alla procura della Repubblica di Chieti. Un documento con cui sindacati e lavoratori chiedevano chiarezza sul declino del gruppo e sui passaggi di proprietà. Ma i giudici teatini non hanno mai dato seguito a quelle richieste.

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