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Economia

Il caso "Sarni" a Chieti: l'odissea di otto lavoratrici

La sintesi di una battaglia legale giace in un ufficio postale di Chieti: otto lavoratrici del gruppo proprietario di pizzerie , ristoranti e gelaterie licenziate illegittimamente nel 2009 e ad oggi non ancora del tutto risarcite

La notizia è apparsa qualche giorno fa sul blog, curato da Samanta Di Persio ed è stata subito ripresa dal sito Abruzzo Independent.
Protagoniste sono otto lavoratrici toscane del gruppo Sarni, proprietario di 30 punti vendita con l'omonimo brand: bar, gelaterie, pizzerie, ristoranti. Il gruppo gestisce anche 50 negozi Follie d'oro e detiene il secondo posto in Italia per la gestione di aree di servizio autostradali. Un giro di affari da 1.500 dipendenti in tutta Italia.

L'odissea di Maria Esposito e delle sette colleghe comincia a giugno 2007, quando Sarni rileva le quote del gruppo Fini. Le donne, racconta Samanta Di Persio, lavorano "nel ristorante Finifast nel centro commerciale di Calenzano (Firenze). L'azienda, di proprietà della società Il parco srl, è gestita in regime di affitto dalla Finifast". A dicembre la gestione viene ceduta alla Finifast two, con un contratto di subaffitto. "Il 28 gennaio 2009 - continua Samanta Di Persio - la Finifast cede il ramo d'azienda oggetto del contratto di affitto. E i rapporti tra vertici aziendali, lavoratori e sindacati si fanno complessi. La Finifast applicava il miglior contratto del settore ristorazione, mentre la nuova dirigenza rifiuta l'applicazione di alcune clausole del contratto nazionale collettivo, ovvero la fornitura del vitto ai dipendenti e l'integrativo aziendale".

Così a fine 2008 le lavoratrici scioperano, ma vengono sostituite dai dipendenti di un altro punto vendita. E la mattina del 24 marzo 2009 l'amara sorpresa: una lettera di licenziamento con decorrenza 31 marzo 2009 per cessazione dell'attività. "Un provvedimento incomprensibile - scrive Samanta Di Persio - perché il locale era gestito in regime di affitto d'azienda, quindi in caso di trasferimento il rapporto di lavoro continua". L'intento, però, era quello di "dar vita ad una società ad hoc, la Calenzano 2 srl, che svolgesse la stessa attività, con meno di quindici dipendenti.

Il 2 aprile 2009, infatti, "sono riassunte solo le lavoratrici remissive alle nuove  regole imposte, che non avevano partecipato allo sciopero e non erano iscritte alla Filcams-Cgil". Quasi un anno dopo, il 2 marzo 2010, il giudice del lavoro ordina il reintegro delle otto lavoratrici, perché i licenziamenti sono nulli. E a quel punto cominciano i veri problemi: "Il gruppo Sarni manifesta la propria volontà di opporsi in ogni modo alla sentenza di reintegro".
Il 27 maggio le lavoratrici e l'azienda firmano una transazione presso la direzione provinciale del lavoro di Prato: le donne accettano il licenziamento dietro il pagamento di una liquidazione di 10 mila euro ciascuna. Ma, da quanto scrive Samanta Di Persio, "da maggio 2010 sono state versate solo le prime due rate. Gli avvocati Filcams CGIL non si sono interessati ai restanti pagamenti" e le lavoratrici hanno cambiato legali.

A gennaio 2011 il nuovo avvocato invia precetti alle sedi legali e agli amministratori, senza ottenere risposta. Pochi mesi fa, a ottobre 2011, scopre che "la società è stata nuovamente venduta a due persone di Chieti". Il legale manda dunque un nuovo precetto alla sede legale teatina, scoprendo che questa non esiste. Allora lo invia alla residenza dei due soci, ma il padre di uno dei due sostiene che il figlio si è trasferito a Pescara.
A questo punto le lavoratrici incaricano un avvocato di Chieti. Ma oggi, conclude Samanta Di Persio, "il precetto giace presso un ufficio postale di Chieti, dove possano trattenerlo per sei mesi. Mentre la ricevuta di ritorno è stata smarrita".

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