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Cronaca

Coltivava cannabis per curarsi, Pellegrini va ai domiciliari

Per il pianista, malato di fibromialgia, si erano mobilitati i Radicali, il deputato Melilla, il giornalista Saviano e molti semplici cittadini

La mobilitazione generale per Fabrizio Pellegrini, il pianista malato di fibromialgia detenuto da quasi due mesi nel carcere di Madonna del Freddo, ha dato i suoi frutti. L'uomo ha ottenuto gli arresti domiciliari, dopo i numerosissimi appelli che sottolineavano l'incompatibilità delle sue condizioni di salute con il regime carcerario. Domenica gli aveva fatto visita in carcere il deputato di Sinistra Italiana Gianni Melilla, ma già nei giorni precedenti avevano fatto salire alla ribalta nazionale il caso il giornalista Roberto Saviano. Mentre il gruppo cittadino L'Altra Chieti si era appellato al governatore Luciano D'Alfonso ricordando che, in Abruzzo, esiste una legge regionale che regola le cure con cannabinoidi, ma non fu mai dato seguito al provvedimento, approvato nel 2014, perché cambio la legislatura.

A dare notizia del provvedimento l'avvocato Vincenzo Di Nanna, segretario di Amnistia, giustizia e libertà Abruzzi, che difende Pellegrini insieme al collega Giuseppe Rossodivita, segretario del Comitato radicale per la giustizia Piero Calamandrei. Pellegrini è stato arrestato all'inizio del mese di giugno perché coltivava piante di cannabis in casa. Lui si è sempre difeso spiegando di doversi curare con gli stupefacenti, poiché non ha abbastanza soldi per acquistare i farmaci a base di cannabinoidi che gli sono stati prescritti. 

Al momento, l'avvocato Di Nanna è nel carcere di Chieti per tutti gli adempimenti formali; l'uscita di Pellegrini dalla struttura dovrebbe avvenire nelle prossime ore. "Salutiamo con soddisfazione l'accoglimento del ricorso e la disposta scarcerazione: un provvedimento che gli salva la vita", commenta il legale. "I vistosi ematomi e gli altri insostenibili sintomi che si sono manifestati in seguito all'interruzione della terapia - aggiunge - hanno reso l'uscita dal carcere un passo obbligato non solo dal punto di vista legale, ma anche umano. Una necessità che è stata colta con prontezza e sensibilità dal magistrato di sorveglianza Maria Rosaria Parruti. La magistratura ha saputo riconoscere la gravità della situazione e intervenire nel modo più adeguato: ma fino a quando sarà la giustizia a dover riparare all'inadeguatezza della politica?", si chiede Di Nanna parlando di "un caso emblematico delle contraddizioni del proibizionismo e dell'attuale quadro legislativo". 

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