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Cronaca

"Ti sei venuta a riprendere tutto": così i carabinieri hanno incastrato figlio ed ex marito di Renata Rapposelli

Gravi gli indizi a carico dei Santoleri, arrestati questa mattina dai carabinieri del nucleo investigativo

Il giorno in cui si sono perse le tracce di Renata Rapposelli sono successe due cose. La prima è che alle 15,39 il cellulare della donna si é sganciato dalla connessione dati per poi riconnettersi più tardi ad una cella telefonica del ripetitore di Giulianova. La seconda è la testimone rintracciata dai carabinieri che, intorno alle 16,30 di quel giorno, si trovava su una panchina a due passi dall’abitazione dei Santoleri quando, dal ballatoio della casa, ha sentito un uomo insultare e inveire contro una donna: "Dopo tanti anni ti sei venuta a riprendere tutto quello che era tuo!". Fatti che sconfessano le versioni degli indagati, da sempre pronti a giurare che in quelle ore la 64enne fosse già tornata a Loreto. Invece lei era ancora lì ed era ancora viva. Poi ci sono le immagini delle telecamere e quelle ricerche Google effettuate dal pc di casa Santoleri in cui compariva la parola "Chienti", come il fiume vicino al quale è stato ritrovato il cadavere. Ci sono anche questi indizi alla base del blitz dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Ancona, che stamattina hanno arrestato Simone e Giuseppe Santoleri, rispettivamente il figlio e l’ex marito di Renata Rapposelli, la pittrice teatina scomparsa da Ancona quasi 5 mesi fa. Sono formalmente accusati di omicidio volontario e distruzione di cadavere in concorso. Reati ascritti nel fascicolo di un’indagine che nelle prossime ore passerà alla Procura di Teramo per competenza territoriale.


Il movente

E adesso si fa piena luce anche sul movente dell'omicidio, racchiuso tutto in quella frase sentita dalla testimone: "Ti sei venuta a riprendere tutto!". Così ha urlato Simone alla madre il 9 ottobre, lo stesso giorno in cui, come ammesso dagli stessi indagati, è scoppiato un litigio per motivi economici tra Renata e i due uomini. Lei si era imposta per avere da lui 3mila euro di assegni di mantenimento arretrati, arrivando ad intentare una causa civile per ottenere un’ingiunzione di pignoramento. In particolare a Giuseppe non sarebbe andata giù l’idea che, dopo tanti anni, la madre fosse tornata dal padre per accaparrarsi quei pochi soldi necessari per una vita dignitosa. Un disappunto diventato rabbia quando ha scoperto che la madre stesse tentando un riavvicinamento con Giuseppe, dal quale si era separata tanti anni prima. Nella ricostruzione accusatoria, è stato Simone ad uccidere Renata, la madre verso cui aveva sempre covato rancore per averlo abbandonato. Uccisa per denaro e dissapori familiari che affondano le radici negli anni in cui la loro famiglia era ancora unita. 


Le motivazioni dell'arresto in carcere

Le manette sono scattate quando ormai i militari avevano raccolto tutta una serie di riscontri. Ma anche perché vi era il pericolo di fuga e di inquinamento prove, come si legge nell’ordinanza con cui il Gip Carlo Cimini provvede alla richiesta di misura cautelare in carcere. Simone Santoleri infatti ha più volte contattato una sua ex per cercare di crearsi degli alibi. Inoltre, dalle intercettazioni, è emerso come i due avessero intenzione di acquistare una macchina nuova per rottamare la Fiat 600. Infine le due querele per diffamazione a mezzo stampa sporte da parte degli indagati nei confronti di alcuni testimoni raccolti dalle televisioni nazionali. Un modo per intimidire i testi secondo la pubblica accusa. 

Renata morta dopo essere stata stordita e soffocata?

Quella testimonianza e il traffico dati del cellulare della donna vanno però di pari passo con tutta un’altra serie di elementi indiziari, definiti “gravosi” dal Procuratore capo di Ancona Irene Bilotta, che ha parlato in occasione di una conferenza stampa in cui ha illustrato le operazioni di polizia giudiziaria insieme al comandante dei carabinieri di Ancona Stefano Caporossi e il maggiore Americo Di Pirro. Secondo quanto ricostruito dai militari, il 9 ottobre avviene il litigio sul ballatoio di casa e poi la donna si reca in farmacia, come testimonierà la stessa farmacista a cui era rimasta impressa la pittrice dorica, per via del suo cognome: "Rapposelli", come una sua collega di un’altra farmacia del paese. Dunque la donna non era affatto tornata nelle Marche: era a Giulianova ed era ancora viva. Nelle indagini c’è poi una parentesi buia fino all'1,30 del giorno dopo (10 ottobre) nella quale si sarebbe consumato il delitto. Tuto ciò combacia con la testimonianza di un’altra persona, che ha dichiarato di aver visto la macchina dei Santoleri parcheggiata con il bagagliaio verso la scalinata di casa, come si preparassero a trasportare qualcosa in auto. Poi di nuovo spostata per uscire in strada,a ll’1,30 del mattino del 10. I due avrebbero caricato il cadavere di Renata in macchina dopo averla uccisa e tenuta lì per giorni fino al 12 ottobre? Sì, Renata è stata avvolta con delle buste di plastica nera, sigillata con nastro adesivo e caricata in macchina dove è rimasta fino alla mattina. C’è ancora da chiarire come sia stata uccisa. Di sicuro non in modo da provocare sanguinamento. Infatti l’idea è che possa essere stata stordita e soffocata, ma il pm titolare dell’indagine Andrea Laurino è ancora in attesa del verbale dell’autopsia collegata agli esami tossicologici ed entomologici.

Le telecamere e il retroscena del tergicristallo 

Fatto sta che il 12 mattina Simone e GIuseppe Santoleri si mettono alla guida della loro Fiat 600 con il cadavere della donna nel retro, coperto da una pila di scatoloni. Una prima telecamera individua alle 11,15 l’auto a Porto Sant’Elpidio. Poi una seconda telecamera individua una Fiat 600 bianca lungo la Superstrada che collega Civitanova a Macerata all’altezza di Morrovalle. Gli inquirenti sono certi sia quella dei due teramani. Perché? I tempi di percorrenza corrispondono. Ma soprattutto il tergicristallo anteriore a riposo si trova alla sinistra del conducente e non a destra come dovrebbe perché è rotto, proprio come quello della macchina dei Santoleri. Simone ha sempre detto che in quell’occasione stava andando dalla sorella che vive a Osimo per portare scatoloni con dentro vestiti del padre Giuseppe per dei lavori da fare in casa loro. Per gli inquirenti stavano andando in quel fittissimo bosco vicino a Tolentino per scaricare il corpo della donna lungo il fiume Chienti. Non una manovra riuscita appieno, visto che il corpo è rimasto incastrato per settimane nei pressi dell’argine, prima di essere ritrovato dall'operaio moldavo. Un ritrovamento tanto casuale quanto provvidenziale. 


 

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