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Cronaca

L'autorità di bacino annulla l'autorizzazione di Megalò, Wwf si appella ai parlamentari

Gli argini posti a protezione del centro commerciale, ma costruiti su terreno demaniale non garantirebbero sicurezza in caso di esondazione del fiume, inoltre manca il collaudo sismico dell'opera. E le associazioni ambientaliste invocano attenzione per le aree a rischio

Dopo l’alluvione e la chiusura precauzionale del centro commerciale Megalò, riaperto ieri pomeriggio (martedì 3 dicembre) con le rassicurazioni della direzione, spunta l’annullamento dell’autorizzazione da parte dell’Autorità di bacino.

Una decisione che stride con le rassicurazioni degli ultimi anni, considerato che si basa sul presupposto che gli argini realizzati per proteggere il centro da eventuali esondazioni non garantiscono la sicurezza della struttura realizzata dalla Sirecc.

In una lettera inviata dal segretario generale Michele Colistro al governatore Gianni Chiodi, pochi giorni fa, il 27 novembre, si spiega che la protezione è stata innalzata solo per un tratto di un chilometro circa e non è sufficiente ad impedire inondazioni.

Ma non basta: mancherebbe il collaudo sismico dell’opera, sprovvista di autorizzazioni tecnico-amministrative e realizzata su terreno di proprietà demaniale. Obiezioni mosse dopo l’analisi di un ingegnere, che sconfessano non solo l’autorizzazione già rilasciata dall’autorità, ma anche le rassicurazioni che arrivano dalla direzione del centro commerciale.

Obiezioni mosse sin dalla prima posa del cantiere dalle associazioni ambientaliste, Wwf in testa, che in vista dei progetti di due nuovi centri commerciali a ridosso dell’area di Megalò lanciano l’ennesimo appello per dire basta alla cementificazione nelle zone a rischio idrogeologico.

Lo ribadiranno venerdì (6 dicembre) in una conferenza stampa organizzata a Pescara, città che ancora sta contando i danni dell’alluvione di lunedì, da Legambiente, Forum abruzzese movimenti per l’acqua, Wwf, Marelibero.org, Pro natura e Italia nostra. “L’acqua deve essere esclusivamente fonte di vita e non causa di distruzione”, dicono le associazioni.

Puntano il dito contro la cattiva gestione di amministratori, funzionari e tecnici, che in nome del profitto avrebbero sacrificato i bisogni della natura. “Non può dirsi civile – proseguono – una Regione che non ha il Piano cave previsto dal 1983, in cui il Piano di tutela delle acque (adottato nel 2010) non prende in considerazione i cambiamenti climatici e permette lo sfruttamento idroelettrico incontrollato dei fiumi, che ha approvato centinaia di piccole varianti peggiorative del Piano paesaggistico; in cui il comitato Via e l’Autorità di bacino autorizzano progetti di infrastrutture e centri commerciali in aree a rischio (come Megalò2); dove il Consiglio regionale approva il Piano casa e la legge di Edilizia, devastanti, con premi cubatura fino al 50% che si aggiungono alle mostruose previsioni di Piani regolatori già sovradimensionati”.

E ancora le associazioni contestano la variante al Piano demanio marittimo approvato dalla giunta regionale che “appesantisce ulteriormente il carico di cemento sulle spiagge martoriate dalle mareggiate. Non può dirsi evoluta una società in cui la stragrande maggioranza dei Comuni (unica mosca bianca San Giovanni teatino), a partire da quelli a forte rischio come Montesilvano e Francavilla, recepisce nel peggiore dei modi il Piano casa e la legge edilizia con strabilianti aumenti di cubatura”. Altri controsensi all’abruzzese l’appoggio del Comune di Chieti al ricorso al Tar sulla decisione del Via di bloccare Megalò3 e l’allagamento della caserma dei vigili del fuoco di Pescara, che dovrebbe essere un luogo sicuro da cui coordinare i soccorsi.

Tanto più che da certi comportamenti deriva un grave pericolo per il territorio e per i cittadini. Le soluzioni, per i movimenti ambientalisti, ci sarebbero: “Consumo di suolo zero, approvando varianti di salvaguardia ai piani regolatori generali e alle norme tecniche in ogni Comune; stop a nuove infrastrutture viarie in zone a rischio; annullare decisioni scandalose come la pronuncia del comitato Via su Megalò 2; introdurre varianti ai Piani stralcio sul rischio idrogeologico e al Piano di tutela delle acque per tenere conto dei cambiamenti climatici; alleggerire le spiagge da strutture; educare in maniera capillare la popolazione sui comportamenti da tenere in situazioni di rischio; collaborare con gli agricoltori per introdurre pratiche agricole nel Piano di Sviluppo Rurale più idonee per limitare le frane; bonificare le megadiscariche (come Bussi) e le microdiscariche lungo i fiumi prima che vengano travolte dalle acque; attuare un vasto programma di manutenzione straordinaria delle opere pubbliche, dalle strade ai centri nevralgici”.

Soluzioni per cui servono fondi, e per questo le associazioni si appellano ai parlamentari eletti in Abruzzo, affinché dalla legge di stabilità i fondi destinati a realizzare nuove mega-opere e all’acquisto degli F35 vengano dirottati sulla manutenzione straordinaria e sull’adozione di norme che non penalizzino l’ambiente. 

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