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Cronaca

Castaldi e Smargiassi (M5S): “Nella 'casa lavoro' di Vasto non c'è lavoro”

Nota- Questo comunicato è stato pubblicato integralmente come contributo esterno. Questo contenuto non è pertanto un articolo prodotto dalla redazione di ChietiToday

Nel raccontare la nostra visita alla casa di lavoro di Vasto, ci rendiamo subito conto di quanto sia difficile far capire cosa succede lì dentro. Non c'è altro modo che vederlo con i propri occhi.


Appena arrivati ci siamo scontrati con paradossi enormi, a partire dallo stesso nome dell'istituto. “Casa di lavoro”? Il solito gioco di parole all'italiana, una definizione edulcorata per quello che è semplicemente un carcere.


Questo perché nella “casa di lavoro” non c'è lavoro. Dei 189 detenuti e internati presenti attualmente (numero oltre il limite della capacità), nessuno è produttivo in modo regolare: una cinquantina sono impiegati per lavori domestici interni alla casa di lavoro, altri saltuariamente svolgono attività agricole, di pulizia delle spiagge, ecc. Ma per lo più si ozia.


Altro paradosso è la condizione degli internati, diversa da quella dei detenuti e poco conosciuta: si tratta di persone che hanno già scontato la pena per i loro reati, ma vengono posti in misura di sicurezza detentiva in quanto giudicati soggetti socialmente pericolosi. Questa misura di sicurezza può essere prorogata più volte e gli internati vivono in questo limbo, da loro chiamato “ergastolo bianco”, senza sapere quando e se potranno tornare liberi.


Non seguendo nei fatti alcun percorso lavorativo, gli internati non offrono elementi per valutare il loro eventuale ravvedimento e restano così in carcere per anni e anni, nonostante abbiano già pagato il loro debito con la giustizia.


Si capisce che con una vita del genere, senza lavoro, trattati come detenuti, tagliati fuori dal mondo, con la sensazione di essere un ostaggio dello Stato e di subire una gravissima ingiustizia, la possibilità di recupero per un internato è praticamente nulla: si ottiene piuttosto l'effetto contrario di quello dichiarato sulla carta.


Basta poco per documentarsi sul Web e scoprire che la situazione appena descritta non è un'esclusiva della casa di lavoro di Vasto, ma è annosa e generalizzata (fra alti e bassi) nelle strutture analoghe presenti in Italia.


Sarebbe stupido e presuntuoso pensare di poter risolvere il problema solo con i nostri mezzi di forza politica di opposizione. Ma si può fare informazione, si può far sapere ai cittadini cosa c'è dentro le sedicenti “case di lavoro”, come ci hanno pregato di fare gli internati con cui abbiamo discusso.


Tenteremo poi di accelerare la realizzazione di strutture di produzione nella casa di lavoro di Vasto (è in corso d'opera l'allestimento di una sartoria) e di progetti per far lavorare anche fuori della struttura carceraria i soggetti giudicati idonei. In particolare, è interessante e fattibile la realizzazione di una pensione per cani, strumento che risulterebbe gradito anche ai nostri turisti. L'idea è del funzionario giuridico pedagogico Lucio Di Blasio, persona di cui abbiamo apprezzato la grande sensibilità umana.


Una sensibilità che abbiamo riscontrato in tutta la gestione della casa di lavoro: nelle tre ore di visita in tre sezioni della struttura, entrando in contatto diretto con gli internati e parlando faccia a faccia con loro, non abbiamo percepito una sensazione di pericolo ed è stato possibile dialogare in modo sereno. Merito evidentemente del buon rapporto umano fra internati e agenti penitenziari.


Ringraziamo per la loro estrema gentilezza il direttore Massimo Di Rienzo, il Comandante Nicola Pellicciaro e i membri del personale della casa di lavoro di Vasto che ci hanno accolto e guidato nella nostra visita.

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